La Lega mutatis mutandis

Intervista a Paolo Barcella

di Redazione
Illustrazione di Doriano Solinas

Nel 2022 è uscito La Lega. Una storia (Carocci ed.) di Paolo Barcella, docente di Storia contemporanea all’Università di Bergamo, studioso della Lega, collaboratore* di Erbacce dall’inizio della pandemia. Il libro ricostruisce in quattro tappe una storia iniziata 40 anni fa, usando sia una prospettiva che uno sguardo retrospettivo inediti nei confronti del leghismo, e svelando in questo modo un fenomeno politico poco conosciuto nelle sue trame.
In attesa delle elezioni regionali, ci rivolgiamo a Paolo per avere lumi. 

La Lega è mutata così tanto da diventare come gli altri partiti. Quali sono i più evidenti cambiamenti dalla sua origine?

In proposito sarebbe necessario fare una distinzione tra la Liga Veneta, che nasce sul finire degli anni Settanta su iniziativa di un gruppo di “venetisti” che si erano inizialmente organizzati nella Società Filologica Veneta per promuovere la lingua e la cultura della loro regione, e la Lega Lombarda, sviluppata su iniziativa di Umberto Bossi nei primi anni Ottanta e costituita con statuto nel 1984. Le due realtà si trovarono a condividere alcuni contenuti e prospettive, sebbene si differenziassero per strutture e dinamiche organizzative. La Lega Lombarda di Umberto Bossi prevalse rapidamente, imponendo il suo modello alla Lega Nord, la federazione che, con l’accordo siglato nel dicembre 1989, aggregò tutte le leghe autonomiste settentrionali sorte nel corso del decennio. In quella Lega Umberto Bossi dispose di un potere sostanzialmente assoluto, che lui rivendicava esplicitamente in tutti i materiali di propaganda. Per esempio, scriveva nel Vento dal Nord, libro edito nel 1992: “Se io sono il segretario della Lega Lombarda posso intervenire sulle province direttamente: se c’è qualche resistenza, la stritolo. Le correnti istituzionalizzate sarebbero la fine della Lega” (p. 76).
Insomma, nel nome del “supremo interesse della causa autonomista” che riteneva di incarnare, Bossi rivendicava il diritto a disporre del partito, liquidando qualsiasi opposizione interna. La militanza nella Lega non prevedeva quindi discussione e dibattito politico, ma fiducia e allineamento agli imperativi della causa autonomista, ossia alla parola del leader di Cassano Magnago. Fino al 1991, la dimensione ridotta del partito consentì a Bossi un controllo diretto sui sindaci e sui consiglieri eletti nelle amministrazioni. Il boom di consensi conosciuto tra il 1991 e il 1993 moltiplicò il numero dei leghisti eletti nelle amministrazioni, richiedendo un’inevitabile riorganizzazione delle dinamiche interne alla Lega Nord. Si moltiplicarono le sezioni territoriali e vennero organizzate scuole per la formazione degli amministratori comunali. Per la stragrande maggioranza dei leghisti, la vita di partito si limitava alle azioni di militanza di base – come i volantinaggi o l’animazione di iniziative pubbliche – e alla tecnica dell’amministrazione, mentre la dimensione strettamente politica rimaneva un affare nelle mani di Bossi dei suoi fedelissimi.
La Lega di Matteo Salvini ha un profilo molto diverso. Anzitutto, il forte investimento nella comunicazione politica online è stato accompagnato da una drastica riduzione delle azioni di militanza politica territoriale. Inoltre, sebbene lo statuto della Lega consenta a Salvini di mantenere il totale controllo del partito, il suo carisma e la sua abilità politica non sono paragonabili a quelli di Umberto Bossi. La riarticolazione dell’impianto ideologico conservatore della Lega Nord in una chiave nazionalista e sovranista ha inoltre richiesto il reclutamento di alcuni intellettuali organici e la creazione di una scuola di formazione politica diretta alle nuove generazioni militanti che non trovano più nei territori la rete organizzativa sviluppata nell’epoca bossiana, e ai quali si vendono contenuti politici non esattamente coincidenti con quelli elaborati negli anni Ottanta e Novanta.

La grande visibilità sui social di Salvini corrisponde a una reale autorità tra i suoi?

La parola chiave per comprendere l’evoluzione del leghismo, le sue oscillazioni e il rapporto tra militanti e vertici è “pragmatismo”. La Lega di Umberto Bossi ha cambiato frequentemente prospettive, passando dall’autonomismo al federalismo, al secessionismo, per poi tornare indietro. I contenuti di verità e i valori sono apparsi talvolta secondari rispetto all’utilità e all’efficacia delle azioni in vista della conquista del potere. La segreteria Salvini ha impresso una svolta in chiave nazionalista al partito che, in ragione dello stesso pragmatismo, gli ha garantito largo seguito e consenso negli anni della sua scalata e soprattutto nella stagione del suo apice, durante il primo governo Conte. Il grossolano errore commesso da Salvini nell’estate del 2019, la crisi di governo e il conseguente crollo nei consensi per la Lega hanno aperto una ferita nel partito. La componente militante storica, nordista e autonomista, che aveva sostenuto per pragmatismo il Salvini nazionalista ma vincente, ha visto vacillare la principale ragione del suo sostegno. L’autorevolezza di Salvini è indubbiamente crollata, tuttavia, rimane l’uomo mediaticamente forte della Lega, indebolito sì, ma ancora nelle condizioni di mantenere la segreteria in attesa che gli sviluppi della politica nazionale e internazionale possano creare nuovi spazi e situazioni favorevoli.

Quali sono oggi le tensioni interne del partito?

Come dicevo, la Lega di Salvini ha soffocato per qualche tempo le prospettive del mondo militante nordista, imboccando la strada dell’allargamento a Sud. Salvini, di fatto, non ha sostenuto i referendum per l’autonomia regionale lombarda e veneta del 2017 e, da segretario, è entrato in conflitto con alcune personalità del partito tra cui, per esempio, il veneto Flavio Tosi. Tuttavia, fino a quando le sue scelte hanno pagato dal punto di vista dei risultati, la gran parte del mondo leghista si è allineato. Oggi, invece, lo spazio politico occupato dal progetto nazionalista e conservatore salviniano è stato assorbito da Fratelli d’Italia e gli autonomisti, evidentemente, hanno alzato la testa, soprattutto dal momento in cui le elezioni del 2022 hanno certificato un crollo di 25 punti percentuali rispetto alle europee del 2019. La scelta di porre il potente Roberto Calderoli – uomo di punta dal 1992 e garante nel corso di tutte le transizioni leghiste – al Ministero per gli affari regionali e le autonomie ha esattamente la funzione di ristabilizzare gli equilibri interni al partito, cercando di riconquistare il consenso della componente storica più irritata. E, così, a poche settimane dalle elezioni regionali, il ministro Calderoli presenta il suo disegno di legge sull’autonomia differenziata… e i nordisti tornano ad applaudire.

Dopo la cattiva gestione della pandemia, sarebbe comprensibile una caduta di fiducia del popolo leghista, in particolare a Bergamo, davanti alle elezioni regionali.

Anzitutto, non credo che l’elettorato conservatore lombardo e veneto sia largamente convinto che Fontana, Zaia e i sindaci della Lega abbiano gestito male la pandemia. Le tragiche settimane del marzo-aprile 2020 videro anzi aprirsi la fase più centralista nella storia della Lega, quando gli amministratori comunali leghisti non riconoscevano a se stessi il potere di imporre misure di contenimento che la legge riconosceva loro, ritenendo che solo il governo avesse titolo per agire. Le responsabilità politiche della malagestione pandemica, insomma, vengono ricondotte da molti leghisti a Giuseppe Conte, non agli amministratori dei loro comuni, magari conosciuti personalmente. Le stesse misure di contenimento, peraltro, incontravano l’ostilità del locale mondo imprenditoriale, ma non soltanto. Anche larga parte della classe lavoratrice lombarda e veneta temeva talvolta le chiusure delle fabbriche più del Covid-19. A distanza di due anni credo che la popolazione sia attraversata da sentimenti profondamente controversi, rispetto alla pandemia: c’è chi ha voglia di rimuovere, chi subisce narrazioni complottiste di varia matrice, chi vive quell’evento come una calamità naturale rispetto alla quale la politica aveva responsabilità limitate. Insomma, non credo affatto che le elezioni regionali saranno influenzate dalla memoria della gestione pandemica.

La proposta di Calderoli sull’autonomia differenziata è in discussione. Ci interessa un tuo commento e una ricostruzione storica.

Nel gennaio 1994 usciva un volumetto propagandistico firmato da Roberto Calderoli, intitolato Mutate Mutanda (sic!). A pagina 48, spiegando la sua azione e i suoi obiettivi politici, scriveva:
“Due anni orsono ero partito per Roma con l’obiettivo di distruggere il S.S.N. (Servizio Sanitario Nazionale) e di scacciare l’odiato ministro. Oggi posso dire che il Ministro se n’è andato e verrà carcerato, anche in funzione del mio operato, mentre il S.S.N., grazie al referendum che io stesso ho redatto, si trova, parlando in termini medici, in coma depassé”.
Nelle pagine conclusive, spiegava che alla distruzione del S.S.N., sarebbe seguita la “costruzione del Sistema sanitario del Nord”. Colpisce la durezza delle parole adoperate, trent’anni fa, per delineare la via che avrebbe portato alla realizzazione del progetto autonomista. Secondo quel Calderoli, l’autonomismo avrebbe aiutato anche il Sud, liberandolo dalla schiavitù del centralismo e da un assistenzialismo finanziario in cui vedeva le cause del massacro umano, culturale, economico e sociale del Meridione. Occorreva chiudere i rubinetti che trasferivano al Sud risorse finanziarie prodotte dal lavoro del Nord, evitando che le stesse venissero divorate dalle reti di potentati locali, legali ed extralegali, stimolando così le genti del Sud a fare da sé. Credo che la storia degli ultimi 25 anni abbia portato, grazie alle riforme già realizzate a partire dalla fine degli anni Novanta, a una decisa riduzione dei trasferimenti di risorse dal Nord verso il Sud, ovvero a un deciso trasferimento di risorse dal Sud verso il Nord. Il Sud vive oggi, non a caso, una fase di declino e di desertificazione economica e sociale tragica, con una dinamica migratoria assai più devastante di quella degli anni Cinquanta e Sessanta, perché chi parte non ha intenzione di rientrare e non spedisce rimesse. I medici italiani, che in queste ore stanno commentando il disegno di legge sull’autonomia differenziata, sembrano sostenere che il suo effetto sarà distruggere il Sistema Sanitario Nazionale, allargando ulteriormente la forbice della qualità delle prestazioni e dei servizi. Un effetto analogo, secondo molti osservatori, si avrebbe sul sistema scolastico nazionale. Se Calderoli si poneva, trent’anni fa, esattamente questi obiettivi, c’è da credere che, qualora il progetto di riforma trovasse compimento, le cose andrebbero esattamente così.

*Per approfondire:
Intervista a un bergamasco che non dorme mai
Italiani maìa ramìna
Elaborare la catastrofe

 

Le pagine di Erbacce contrassegnate da copyright sono protette e non riproducibili in nessun modo. Tutte le altre immagini e i testi di Erbacce sono rilasciati con licenza
Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported License
Licenza Creative Commons