Terrorismo di casa nostra

di Robin Morgan
Traduzione di Margherita Giacobino
Vignette di Pat Carra

 

L’FBI ha finalmente proclamato che i gruppi di suprematisti bianchi sono la più grande minaccia per la nostra sicurezza interna, e il Dipartimento della Sicurezza Nazionale ha seguito il suo esempio. Non sono ancora riusciti ad aggiungere la “supremazia maschile” – dopo tutto, ci hanno messo più di 30 anni per arrivare fin lì.
Scrivo “più di 30 anni” perché nel 1989 ho pubblicato la prima, e purtroppo finora l’unica, analisi femminista del terrorismo, e una delle poche, pochissime analisi fatte da donne. Il terrorismo era un gioco da maschi, a cui dovevano trovare soluzioni gli stessi che avevano creato il problema.
Sono felice di aver scritto The Demon Lover. The Roots of Terrorism* in quel momento, perché se non l’avessi fatto avrei dovuto farlo adesso. Inoltre, da allora l’ho aggiornato tre volte: quando è apparsa l’edizione tascabile, poi nel 2001 dopo la caduta delle Torri Gemelle, e di nuovo quando è diventato un e-book in tutti i formati. È un libro di cui sono estremamente orgogliosa, ma che mi mantiene anche in un continuo stato di rabbia. Copre tutti gli aspetti della materia, con capitoli che mostrano come “incidenti isolati” formino modelli prevedibili, come la fusione di patriarcato e tecnologia stia creando una democratizzazione della violenza. Parla del fascino che accompagna la romanticizzazione dell’eroe e i modi in cui la religione, la filosofia e l’estetica androcentrica alimentano il tutto. Tratta del terrorismo ufficiale (di stato) e del “wargasm”, l’orgasmo rivoluzionario. Include un capitolo sulla “terrorist token” ovvero la partecipazione delle donne (“cherchez l’homme”), e uno chiamato “Desiderio di catastrofe”, sulla mia breve immersione in questa politica. C’è un capitolo sulle mie visite in Medio Oriente e lo stato di shock in cui si trovavano le donne palestinesi, intitolato “Cosa ne sanno gli uomini della vita?” e il tutto si conclude con la normalizzazione del terrore, e ciò che sta oltre il terrore e il desiderio di morte: una politica dell’eros che afferma la vita.

Ho iniziato The Demon Lover a causa dei molteplici attacchi terroristici alle cliniche statunitensi e al personale medico che fornisce servizi di contraccezione e aborto, attacchi che hanno causato otto morti e 33 feriti gravi. Mi ha colpito il fatto che questi portatori di morte non facessero che proclamare il valore della vita – tranne quella delle donne coinvolte, ovviamente.
C’era stata una ventina tra incendi dolosi e tentativi di incendio, 10 attentati e tentativi di attentati, e cliniche di 23 stati avevano ricevuto minacce di antrace e offese chimiche. Più tardi, sulla scia degli attacchi dell’11 settembre 2001, l’American Life League pubblicò pagine pubblicitarie che attaccavano Planned Parenthood, dichiarando che “l’aborto è il terrorismo estremo”.
Così il libro è cominciato dall’aborto, ma non si è fermato lì, anzi è cresciuto fino ad esplorare esaustivamente le esplosioni di violenza di ogni genere. Ma era radicato nello specifico, nella carne. Noi donne abbiamo sempre saputo questa verità, la sperimentiamo sui nostri corpi, dal momento che esistono la violenza domestica e il movimento anti-scelta, e lo stesso vale per le comunità nere e brown, a cui si spara per strada o nelle loro stesse camere da letto. Ma a quanto pare c’è voluto un assedio al Campidoglio degli Stati Uniti per far capire che c’è una guerra.
Per quanto mi riguarda, mi sono resa conto di essere tornata alla salute mentale quando ho paragonato affermazioni come questa: “La violenza non è appannaggio esclusivo degli sfruttatori; gli sfruttati possono usarla, anzi dovrebbero usarla”. E quest’altra: “C’è una violenza che schiavizza e una violenza che libera”. E ho pensato: Beh, è orribile ma almeno è coerente – per poi scoprire che la prima è una citazione di Che Guevara e la seconda di Benito Mussolini.
Le parole contano davvero. Si incarnano in conseguenze. Probabilmente, Mark Zuckerberg e Jack Dorsey hanno le mani sporche di sangue a causa delle parole quanto Donald Trump o anche di più. I due fondatori di Facebook e Twitter (l’uno di proprietà dell’altro), dopo aver colto entusiasticamente l’occasione di diventare i veicoli di propaganda della politica del terrore, hanno sgranato gli occhi e sostenuto la loro innocenza: erano stati “solo una piattaforma per la comunità mondiale”. Anche se centinaia di migliaia di abitanti dei villaggi musulmani Rohingya massacrati in Myanmar potrebbero testimoniare il contrario.
Nel 1994, 500.000 ruandesi furono uccisi nel corso di 100 giorni. Nel “processo mediatico” del 2003, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda ha ritenuto i leader politici e i media responsabili di falsa propaganda e promozione dell’odio etnico che ha portato al genocidio della popolazione Tutsi, condannando i due fondatori e direttori della famigerata stazione radio RTLM e il direttore del giornale Kangura per incitamento pubblico al genocidio. Sì, la parola ha delle conseguenze, come hanno scritto Navi Pillay e Jessica Neuwirth in Pass Blue, la rivista indipendente delle Nazioni Unite. Pillay è stata presidente del Tribunale penale internazionale per il Ruanda nel processo mediatico e successivamente giudice della Corte penale internazionale e Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani; Jessica Neuwirth è direttrice del programma per i diritti umani al Roosevelt House Public Policy Institute, Hunter College. Entrambe affermano che le basi del genocidio erano state gettate ben prima della morte del presidente ruandese in un aereo abbattuto. Se l’aereo è stato il grilletto, RTLM e Kangura erano i proiettili già pronti nella pistola. Nei giorni seguenti, le folle si precipitarono a Kigali, la capitale, per dare la caccia e massacrare i leader politici, quindi il genocidio si estese all’assassinio dei comuni cittadini. Pillay e Neuwirth sostengono che, nonostante la visione sbagliata degli assolutisti che il Primo Emendamento sia un lasciapassare per l’incitamento alla violenza, negli Stati Uniti potrebbero finalmente emergere le responsabilità, a partire dai social media e dalle azioni tardive intraprese da Twitter e Facebook – e auspicano l’adozione tempestiva di regolamenti. Inoltre l’impeachment, indipendentemente dal risultato, ha significato l’ammissione della responsabilità di Trump per l’attacco. È imperativo vedere il nesso causale diretto tra la mobilitazione della paura e del furore e le azioni fatali prontamente intraprese subito dopo.
Dobbiamo far pressione fortemente e ripetutamente per questi regolamenti, e per il passaggio di una legge sul terrorismo interno, di cui gli Stati Uniti sono privi. E dobbiamo far uso della legislazione già esistente: dopo la Guerra Civile, il Ku Klux Klan scatenò insurrezioni di suprematisti bianchi in tutto il Sud per impedire ai cittadini neri e ai loro alleati di votare, e 150 anni fa il presidente Grant e il Congresso risposero a questi attacchi di vigilantes con una legge innovativa, nota come legge del Ku Klux Klan del 1871, che ancora oggi protegge gli americani dalle intimidazioni politiche. Nel febbraio di quest’anno, la legge del Klan è stata citata in una causa federale contro le persone coinvolte nell’attacco del 6 gennaio al Campidoglio. Presentata da Bennie Thompson, presidente del Comitato di Sicurezza Interna del Parlamento, la causa accusa Donald Trump, il suo avvocato Rudolph Giuliani e i membri dei Proud Boys e degli Oath Keepers di aver cospirato per violare la legge sul Klan e impedire al Congresso di certificare la vittoria elettorale di Biden.

 

Dobbiamo anche superare l’idea che ci sia una soluzione rapida a questo problema. Non c’è. Questo mostro è un’idra dalle molte teste.
C’è l’elemento Q-anon, alimentato da FoxNews, che secondo un recente sondaggio NPR-Ipsos influenza quasi la metà degli uomini bianchi e dei residenti rurali.C’è il modo in cui il virus alimenta il terrorismo, proprio come l’epidemia di influenza del 1918 in Germania alimentò la crisi dovuta alla mancanza di denaro, alle bollette e tasse non pagate, e le chiusure e le perdite di lavoro legate al virus a loro volta aumentarono i voti per il partito nazista.

Nel frattempo, le branche più zelanti del movimento cristiano evangelico bianco si sovrappongono sia al terrorismo antiabortista sia a siti di finanziamento online come GiveSendGo, che hanno “grandi sponsor” nascosti ma sostengono che la maggior parte delle donazioni vengono dalla base, e che sono specializzati nel finanziamento di gruppi come i Proud Boys, al ritmo di 200.000 dollari a persona.

C’è la presenza di poliziotti e ufficiali delle forze dell’ordine, e membri dell’esercito degli Stati Uniti – tutti addestrati al combattimento – nella “milizia” degli Oath Keepers. (Negli ultimi anni, la polizia o le agenzie ad essa collegate in Virginia, Florida, Nebraska, Louisiana, Michigan e Texas hanno licenziato agenti che erano membri del Ku Klux Klan).

E c’è stata la presenza di funzionari statali e altri eletti locali all’assalto del Campidoglio: più di una dozzina di rappresentanti statali hanno partecipato alla manifestazione e all’assalto al Congresso, tra cui un rappresentante statale del Missouri, un membro del consiglio comunale della California, un senatore statale della Virginia, un’eletta all’assemblea del Nevada, e il fondatore di un gruppo chiamato Cowboys for Trump che si è vantato di avere un posto in prima fila per il “veder scorrere il sangue fuori dall’edificio”, prima di tornare al suo posto come commissario della contea di Otero nel New Mexico meridionale. Tra i partecipanti di alto profilo alla rivolta c’era Derek Evans, un membro appena eletto della Camera dei delegati del West Virginia, che si è filmato mentre entrava nel Campidoglio.

Ultimo, ma probabilmente più cruciale, il denaro oscuro – molto oscuro – dietro il terrore interno, il denaro di Rebekah Mercer dei Koch Brother e di Adelson e De Vos, il denaro che compra senatori e deputati che sono collaboratori dei gruppi suprematisti, il denaro che è stato giudicato valido e legittimo dalla decisione della Corte Suprema in Citizens United, e che attende una drastica revisione.

Ci vorrà tempo, educazione, compassione, severità, deprogrammazione, cambiamenti demografici e ancora tempo. Ma affrontare il terrore di casa nostra non ha nulla a che fare con l’ipersemplificazione idiota della destra che accusa gli “antifa”, o della sinistra, che attribuisce tutto al malcontento della classe operaia. Inoltre, i progressisti tendono a liquidare alcuni degli insorti come ridicoli. Ma insomma, il tizio con il mantello da orso-lupo e le corna in testa! Gli insorti che gridano e si battono il petto con quelle loro pance da bevitori di birra? La pura idiozia di centinaia di persone che si filmano orgogliosamente per i social media, mentre dissacrano il Campidoglio degli Stati Uniti? Sì, è tutto assurdo e incredibilmente stupido. Ma dobbiamo capire che loro non pensavano che ci fosse qualcosa di sbagliato nell’essere identificati dalle forze dell’ordine come intrusi, perché molti di loro erano agenti delle forze dell’ordine. E non era stato lo stesso Trump a dire loro di venire? E poi, gli occhi dell’ufficialità erano tutti puntati sugli sporchi terroristi stranieri, no? Dobbiamo superare l’idea che solo perché una cosa è ridicola non è pericolosa.
Il quoziente emotivo si riduce ancora e sempre alla virilità isterica – sì, uso questa parola intenzionalmente. La virilità isterica include anche le donne che si identificano, seppure a rischio della loro vita, con questi uomini. Il terrorismo è una politica identitaria che sposa il patriarcato alla tecnologia. Senza la propaganda che romanticizza il mito dell’eroe, l’omicidio è un affare sordido. Ma con il mito dell’eroe, qualsiasi atto di violenza è reso non solo possibile ma inevitabile: lo stupratore si trasforma in seduttore, il tiranno governa per diritto divino, il terrorista reincarna l’eroe (e il patriota). Questa è follia, e a riassumerla meglio è forse il tweet di un insurrezionalista: “Vivi per niente, muori per qualcosa”. Quella politica identitaria è una politica di morte, di chi brama di trascinare l’esistenza stessa nell’estinzione, nella propria disperazione.
La morte è una cosa, l’estinzione è un’altra. L’estinzione è ciò che non possiamo permettere. Ma abbiamo il potere di cambiare questo, a partire da adesso. Non faccio un uso improprio di metafore se osservo che pochi giorni fa abbiamo fatto atterrare una piccola macchina con un mini elicottero attaccato su una superficie a quasi 300 milioni di chilometri di distanza. L’abbiamo mandata attraverso lo spazio, il tempo e innumerevoli ostacoli distruttivi per farla atterrare, leggera come se fosse una farfalla, al sicuro sul pianeta Marte – e restiamo in contatto con lei. La sua missione è quella di cercare acqua e quindi segni di vita. Il suo nome è Perseveranza. Se riusciamo a fare questo, possiamo trovare la vita anche qui a casa nostra.

* in italiano Demone amante. Sessualità del terrorismo a cura di Maria Nadotti (La Tartaruga 1998)
L’articolo è uscito il 22 febbraio 2021 sul blog di Robin Morgan

 

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