Rivolte in Cile

di Gaby Weber
Traduzione di Margherita Giacobino

 

Nell’ottobre 2019, in Cile è iniziata una rivolta durata un mese. Milioni di persone sono scese in piazza per chiedere la fine del neoliberismo: sanità per tutti, pensioni dignitose e libero accesso all’istruzione. Centri commerciali sono stati incendiati, centinaia di stazioni di polizia distrutte. Oggi (gennaio 2021) Santiago è relativamente tranquilla, non solo per il coprifuoco che – ufficialmente per il Coronavirus – è in vigore da marzo. Il movimento è diviso. Come in altri paesi del continente, la sinistra istituzionale ha preso le distanze dagli attivisti. I partiti, compresi quelli di sinistra, sono visti dai manifestanti come “collaboratori del sistema”, e persino i gruppi per i diritti umani che denunciavano le torture e gli omicidi di stato durante le dittature degli anni ’70 sono diventati vistosamente silenziosi.

Nel centro di Santiago, tracce evidenti della rivolta sono ancora visibili: banche, alberghi e negozi chiusi, e slogan su tutti i muri: il più ricorrente è ACAB, acronimo di “All Cops are Bastards” (Tutti i poliziotti sono bastardi). Da quando è stato vietato, viene abbreviato in 13.12, ovvero le lettere dell’alfabeto corrispondenti. I poliziotti si sentono spesso chiamare “Paco Perkins”: Paco sta per poliziotto, Perkins per tirapiedi. Perkins era il servile maggiordomo di una serie televisiva, quello che fa ciò che i padroni gli chiedono senza protestare. A questo appellativo spesso rispondono con il getto dell’idrante, il guanaco.

 

In gennaio 2020 si è svolta una manifestazione in Plaza Dignidad (ex Plaza Italia), a cui ha partecipato solo lo zoccolo duro, circa 200 persone, che inalberavano lo striscione: “Libertà per tutti i prigionieri politici”. A dicembre 2019, cinque senatori dell’opposizione avevano presentato una proposta di legge per un indulto generale. Ci sono ancora quasi 650 prigionieri in detenzione preventiva. Per il governo, non ci sono prigionieri politici, ma solo trasgressori della legge, e il presidente Sebastián Piñera ha annunciato il suo veto se l’opposizione riuscirà a raccogliere i voti necessari.

I manifestanti non erano d’accordo con questo provvedimento, da cui potrebbero trarre profitto gli assassini di stato. I prigionieri politici dovrebbero uscire, non per un atto di grazia, ma perché sono innocenti.

I familiari dei prigionieri erano di altro avviso quando, nel gennaio 2020, sono andati a Valparaíso a chiedere al senatore Alejandro Navarro una “soluzione politica”, racconta Lilly. Suo figlio avrebbe lanciato due Molotov, come hanno rivelato le telecamere di sorveglianza. Ha trascorso un mese in prigione poi gli sono stati concessi gli arresti domiciliari perché potesse sostenere l’esame di scuola superiore. Il procuratore ha chiesto otto anni di prigione.

Quasi 7000 persone sono finite in prigione in attesa di giudizio per aver preso parte alla rivolta, e molte di esse hanno subito maltrattamenti. I loro parenti hanno bussato a molte porte. “Ci siamo sentiti abbandonati dai gruppi per i diritti umani. Né l’Istituto Nazionale dei Diritti Umani né Amnesty International né la Croce Rossa hanno preso contatti con i detenuti o con noi”.

 

 

Amnistia o indulto?

Il senatore Navarro ha promesso che avrebbe lavorato per un’amnistia, ma poi si è ammalato. E all’improvviso i parenti hanno ricevuto un progetto di indulto generale. “Ci siamo sentiti scavalcati”, dice Lilly, “ovviamente né noi né i prigionieri dovevamo avere voce in capitolo”. Il gruppo dei parenti è diviso. Molti genitori hanno poco in comune con gli ideali dei loro figli arrestati e cercano una soluzione pratica per le proprie famiglie. “Nella loro disperazione, si aggrappano a qualsiasi cosa, sono pronti ad accettare che vengano liberati solo i loro figli, e non tutti i prigionieri politici. Ecco perché siamo favorevoli all’amnistia”.

Carlos Margotta della Commissione cilena per i Diritti Umani ha collaborato al progetto. “La legge sull’amnistia in Cile è ancora quella della dittatura, che fa uscire chi ha commesso violazioni dei diritti umani. Nonostante gli appelli dei tribunali internazionali, dal 1978 a oggi questa legge non è stata abrogata. Se oggi approvassimo una nuova amnistia generale, violeremmo la memoria delle vittime e dei loro parenti e solleveremmo il governo cileno dal suo obbligo di abrogare finalmente la vecchia legge. Per questo non vogliamo l’amnistia ma l’indulto.”

Un indulto generale, continua Margotta, non è una grazia concessa dal presidente della Repubblica a un individuo, bensì dal Parlamento e si applica a tutte le persone arrestate in un dato periodo di tempo. La legge è un “atto di sovranità”.

Ma l’indulto cancella solo la condanna, che rimane nel casellario giudiziale; solo l’amnistia cancella anche il reato, spiega l’avvocato Nicolás Toro, difensore di diversi prigionieri politici. Nei 30 anni di democrazia, afferma, le leggi – per esempio quella sul controllo delle armi – sono state inasprite, e i trasgressori vanno incontro alla detenzione preventiva. “Sono state approvate nuove leggi riguardanti il saccheggio e la costruzione di barricate”, racconta Toro. “Se esplode una rivolta da qualche parte, fanno immediatamente una nuova legge per risolvere il problema. Questo è populismo penale perché non risolve nulla”, continua Toro. E i partiti, socialisti compresi, hanno sempre dato voto favorevole. Ecco perché alcuni prigionieri non hanno ricevuto la delegazione di parlamentari.

“Il Movimento dei Diritti Umani”, prosegue Toro “è poco coinvolto dalle proteste degli ultimi 10/15 anni, e ha anche abbandonato il popolo Mapuche. Ormai è nelle mani dei partiti e dello stato. Oggi difende il sistema, mentre i rivoltosi vogliono una rottura. Alcuni gruppi per i diritti umani hanno molti più contatti con le istituzioni statali che con la gente comune, e sostengono solo i propri interessi”.

 

 

La correttezza politica non costa niente

Nell’aprile 2021 saranno eletti i membri del comitato costituzionale. Quasi l’80% dei cileni aveva votato per una nuova costituzione e per elettori indipendenti. Ma solo i candidati che entrano nelle liste dei partiti hanno una reale possibilità. E da trent’anni, afferma la docente universitaria e corrispondente di Sputnik, Carolina Trejo, dimostrano di voler portare avanti il modello neoliberale in materia di sanità, educazione e pensioni. Per apportare modifiche alla costituzione di Pinochet è necessaria una maggioranza di due terzi. La destra tradizionalmente possiede un terzo dei voti, il che le dà potere di veto.

La nuova costituzione probabilmente proclamerà luoghi comuni che suonano bene, come il divieto di discriminazione basato sul sesso, l’orientamento sessuale e l’appartenenza ad un gruppo etnico, e forse un linguaggio equo dal punto di vista del genere. La correttezza politica non costa niente, e quelli che si considerano progressisti avranno il loro campo da gioco in cui sfogarsi. La costituzione potrebbe perfino sancire l’imperativo di proteggere l’ambiente, ma nessuno vorrà mettersi contro l’agribusiness, l’industria della cellulosa e dei semi e pesticidi.

“Sarà possibile accordarsi su alcuni principi” dice Trejo, “mentre tutti gli altri dettagli saranno regolati in seguito da leggi normali. È facile dire che c’è il diritto alla salute e alle materie prime, se poi una semplice legge dichiara questo diritto subordinato e fa concessioni alle grandi compagnie. Già secondo la costituzione del 1980 il popolo possiede le risorse minerarie, ma il litio rimarrà ancora nelle mani del genero dell’ex dittatore Pinochet”.

La convenzione ha due anni per stendere la nuova costituzione. “Se ignora le richieste del movimento”, conclude la giornalista Trejo, “ci sarà una nuova rivolta”.

Documentari di Gaby Weber sul Cile:
Die Revolte in Chile (gennaio 2020)
Chile – despúes de la revuelta (gennaio 2021)
Nach der Revolte – ein Zwischenbericht (gennaio 2021)

 

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