Le sofistiche in affitto

di Francesca Maffioli e Laura Marzi
Illustrazione di Isia Osuchowska

Diletta Gorgia,

il tempo si interpone fra di noi, dirada le nostre domande, acquieta il nostro dialogo, come se avessimo trovato delle risposte, quando invero così non è. Le asprezze del momento, la confusione, il semplice incanutire…A loro va addebitato il nostro silenzio. Eppure, nonostante l’opposizione della Moira, eccomi di nuovo a te, assetata, bisognosa di abbeverarmi alla fonte della tua saggezza.
Nei tempi che stanno trascorrendo, in cui il principio unico da cui hanno origine tutte le cose pare essere “lo malo morbo”, per citare un eroe del futuro, il generale Brancaleone… In questo presente, dicevo, tutte e tutti siamo dovuti restare chiusi nelle nostre magioni, osservarle da molto vicino, sentire le mura più o meno umide delle nostre dimore, troppo ingombranti o non abbastanza spesse per proteggerci dalle paure, dalle angosce, dalle perdite. E forse, così costrette, si è fatto ancora più assillante il pensiero della casa. So che, come me, anche tu alberghi in stanze che non ti appartengono e per cui ogni mese devi pagare la sudatissima pigione. Anche tu risiedi in una città lontana dal tuo borgo natio e forse immagini nuove partenze o un ritorno. Orsù, Gorgia mia, non sei anche tu stanca di dover pagare per dormire, per una cucina, per stipare le nostre carabattole? Non sei preda della rabbia di Ares, nei confronti di chi non ci considera abbastanza affidabili, da prestarci pecunia per avere la nostra dimora e poi ci priva di contratti adatti a pagare una casa nostra? Non invocheresti gli dei contro una polis globale che taglia radici e fa pagare a caro prezzo il vagabondare?

Protagora mia,

il nostro silenzio non è figlio della saggezza. Così come il nostro rado parlare; esso è generato dal tempo dei giorni che con l’invecchiare e le sue stanchezze diventa così veloce che le gambe sembrano non riuscire più a tenere il passo. Eppure sì, è spesso proprio quella pausa di dubbio e il dialogo che abbevera a ristorare e a dare più slancio ai polpacci e ai piedi dolenti.
Quindi eccoci qui, finalmente e ancora dialoganti a scambiarci barlumi sul nostro presente e su quello di tante e tanti della nostra generazione. E di quelle a venire? Per quelle spetterà a me di chiederti lumi nel nostro prossimo dimandare.
Le case. Magioni o maisons, che per me sono ancora dei luoghi di passaggio – in tutte le declinazioni dell’itineranza – sono spazi abitabili (a volte solo apparentemente…) dove stipo la mia voglia di rifugio. Luoghi che sono stata pronta a pagare anche a caro prezzo, del mio lavoro, ma anche dell’abbandono degli affetti più cari. Certo è che la tanto decantata flessibilità lavorativa non va di pari passo alla possibilità di chieder prestito. Quest’ultima no che non è flessibile invece e ci ritroviamo flessibili tra pezzi di legno capaci solo di sbarrarci il passaggio.
Protagora mia, io invoco le dee per plurime forze: quella di continuare a resistere a dei ritmi che il mio corpo è stanco di sostenere, ma anche quella di continuare come te a tenere alta la rabbia di Ares nei confronti di chi ci chiede d’essere dinamiche e flessibili a fronte di un intorno fermo e impermeabile ai nostri bisogni e desideri.

 

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