Le bambine e gli “accendini della morte”

di Redazione
Illustrazione di Federico Zenoni

 

Ha il volto, il nome e il coraggio di nove bambine tra i sei e quattordici anni la protesta che le comunità di alcune regioni settentrionali dell’Ecuador hanno condotto negli ultimi anni contro le compagnie petrolifere che avvelenano il loro territorio.
Leonela, Denisse e le altre chiedono lo spegnimento dei “mecheros de la muerte”, gli “accendini della morte”, torce giganti che ardono in continuazione consumando il gas che esce dal terreno durante l’estrazione del petrolio. Le fiammate inquinano l’acqua, la terra, l’aria, fanno morire i piccoli animali e ammalare la gente che le ha viste sorgere vicino alle proprie case, scuole e centri abitati.
Nelle regioni di Orellana e Sucumbios, dove si trovano oltre 400 di questi accendini, l’incidenza di alcune tipologie di cancro, che colpiscono soprattutto le donne, è tra le più alte al mondo, senza contare altre patologie. E l’assistenza sanitaria è quasi inesistente.
La Chevron, ex Texaco, ha cominciato negli anni ’60 a estrarre petrolio nella foresta amazzonica, altre compagnie l’hanno seguita. L’acqua dei fiumi, vitale per le popolazioni residenti, è inquinata da tempo dagli scarichi delle lavorazioni, e grazie agli “accendini” lo sono anche le piogge.
A venire calpestati non sono soltanto i diritti e la salute degli abitanti, ma perfino le ragioni economiche: il gas bruciato inutilmente potrebbe essere usato dal paese, al posto di quello importato a caro prezzo. Ma i big del petrolio hanno scelto il sistema di lavorazione più conveniente, e poco importa che sia dannoso per chi vive nelle zone da loro invase, e produca oltre alle malattie e alla morte anche povertà. Come sempre, a guadagnare dalla violenza commessa contro l’ambiente sono in pochi, mentre in molti diventano sempre più poveri. I poteri statali, complici delle multinazionali, non solo non hanno fatto niente per costringere l’industria del petrolio a sviluppare tecniche più sostenibili, ma hanno ostacolato l’azione di protesta della gente del posto. In prima istanza, la petizione presentata dalle bambine è stata respinta, e il giudice ha dichiarato che non era dimostrato che i casi di cancro fossero riconducibili all’inquinamento provocato dagli “accendini”. Alla persistenza delle bambine e delle comunità da loro rappresentate, sono stati opposti rinvii e minacce. Alla fine la magistratura ha disposto l’eliminazione degli accendini entro il 2030, e lo spegnimento di quelli vicini ai centri abitati entro la primavera del 2023. Ma i tempi sono lunghi, e i termini della sentenza sono vaghi, tali da consentire alle multinazionali di continuare a inquinare, magari spostandosi un po’ più in là, in quella zona di foresta che un tempo era il polmone del mondo e in cui adesso si respira veleno.
Le bambine continueranno a resistere. Hanno tutte le ragioni per farlo, ne va della loro vita e del loro futuro.

 

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