di Barbara Leda Kenny
Vignetta di Pat Carra

Sulla stampa la notizia che circola in questi giorni è quella di una “finanziaria delle famiglie”, ed effettivamente di capitoli intitolati alla famiglia (declinato rigorosamente al singolare), nella manovra ce ne sono ben due. Il secondo, quello di cui parleremo, è Misure in materia di famiglia e pari opportunità.
Il titolo è già un programma: in questa finanziaria le pari opportunità vengono intese come politiche per le madri che si prendono cura di bambine e bambini piccoli – preferibilmente almeno due, meglio se tre. Madri meglio se sposate e che lavorano per contribuire al reddito familiare, ma poco, perché prima di tutto, e più di tutto, si devono prendere cura della famiglia.
Ma le politiche individuate dal governo, anche avendo il rafforzamento della famiglia tradizionale come obiettivo, funzionano?
I problemi fondamentali sono due: il primo è la visione, il secondo è il metodo. Andiamo a vedere perché.
Tra le nuove proposte arriva la decontribuzione per l’assunzione delle madri di tre figli entro il diciottesimo anno di età e l’agevolazione – sempre attraverso la decontribuzione – del part-time per le medesime madri. Un modello in cui le donne lavorano ma sono il reddito secondario, un reddito aggiunto che non le rende indipendenti dal reddito principale, quello dell’uomo.
In un contesto come quello italiano caratterizzato da una carenza di servizi, l’agevolazione del part-time sottende, infatti, un modello di conciliazione in cui le donne continuano a farsi carico di tutto il lavoro di cura. Facilitare un po’ di reddito, ma non abbastanza da incrinare i ruoli famigliari per cui le donne principalmente si prendono cura e gli uomini principalmente lavorano.
Una misura che, quindi, continua a ribadire che il miglior luogo di cura è la famiglia e a puntare sul lavoro non retribuito delle donne. Queste, peraltro, sono già le principali erogatrici di lavoro di cura non retribuito e anche la stragrande maggioranza di chi nel mercato del lavoro lavora part-time. Peccato che questa modalità sia il più delle volte involontaria e che abbia, tra le sue implicazioni, quella di esporre le lavoratrici al rischio di diventare pensionate povere.
Inoltre, il part-time non rende le donne economicamente indipendenti e non facilita la redistribuzione della cura. Due cose che, in generale, sappiamo che permetterebbero una maggiore libertà nelle scelte riproduttive. Il provvedimento rischia quindi di trasformarsi in un boomerang in termini di politiche pro-nataliste e, dunque, anche per l’agenda del governo.
La scelta di restringere le misure alle madri di tre figli è una astuzia politica che, da una parte, strizza l’occhio all’elettorato delle famiglie numerose, spesso vicino alle destre, e dall’altra limita i costi della misura. Il Governo per le famiglie è un titolo, e non importa se queste famiglie sono solo una piccola minoranza. Le coppie con figli costituiscono infatti circa il 33% delle famiglie. Di questo 33%, solo una famiglia su dieci ha tre o più figli. A quanto pare, la priorità è poter dire di fare (e invece di non fare), se è patrimonio condiviso che per funzionare le politiche hanno bisogno soprattutto di massa critica.
Anche la logica ex post punta il dito in questa direzione: quelle proposte dal governo sono misure che non creano le condizioni per poter fare delle scelte, ma premiano con un po’ di denaro le persone che hanno fatto scelte approvate dal governo. Come accade per esempio per il bonus mamme, una misura introdotta l’anno scorso che viene rinnovata per le lavoratrici con almeno due figli.
Il modello di queste politiche somiglia alle raccolte punti del supermercato: raccogli i bollini e ottieni i premi.
Dal punto di vista delle politiche di parità, possiamo definirlo un voltarsi indietro. Mentre l’Italia resta ancorata a un modello di conciliazione tradizionale che non ha funzionato (le donne lavorano poco e si prendono cura), ci sono paesi, come la Spagna, che hanno preso le distanze da quest’assetto, andando verso un modello di maggiore condivisione del lavoro di cura. In questo contesto, anche le misure che aggiungono giornate ai congedi per la malattia dei figli e quelli legati alla 104 hanno il sapore di una delega in bianco alle madri. Non si estendono diritti, ma si finanziano giornate a manciata.
Stesso approccio per il fondo per l’offerta estiva delle scuole, più un nome che altro: facendo un rapido calcolo (60 milioni di fondo) e prendendo in considerazione la fascia 3-14 anni (circa quattro milioni e mezzo di bambine e bambini), il fondo destinato risulta di circa 13 euro a testa. Così, mentre le famiglie aspettano una riforma dei tempi scolastici, misure strutturali che le aiutino a superare più di tre mesi di chiusura estiva, il governo destina tre merende per ogni bambino. Con l’incertezza che il prossimo anno non ci siano nemmeno quelle.
La decontribuzione è uno strumento molto usato nelle politiche per l’inserimento lavorativo perché in questo modo hanno effetto immediato e generano consenso in poco tempo, mentre altre politiche richiedono più tempo o più visione. Con quello che spendiamo in decontribuzioni si potrebbe finanziare un vero e proprio piano per l’occupazione femminile.
Quella delle decontribuzioni, delle giornate, dei bonus è una spesa con il fiato corto. In questo caso specifico i soldi della decontribuzione delle madri con tre figli si potrebbero investire in maggiore formazione, o in mense scolastiche, o in congedi di paternità più lunghi.
Insomma, tutti i dati ci dicono che, anche avendo come unico obiettivo quello di incoraggiare la natalità e tutelare le lavoratrici madri, si fanno più figli dove le donne lavorano di più e con più qualità, ci sono più infrastrutture sociali, e dove gli uomini condividono di più il lavoro di cura.
In ogni caso, non tutto il male vien per nuocere: tra le misure c’è una strizzata d’occhio ai padri separati, le cui associazioni sono vicine alle destre, con un fondo per gli affitti in caso di separazione – da femministe possiamo dire che tutte le misure che agevolano le separazioni, in tempi in cui il freno è spesso economico, sono benvenute. E, nella stessa ottica di favorire i percorsi di autonomia, ben venga il rifinanziamento del reddito di libertà per le donne in fuoriuscita dalla violenza, anche questa una misura che ci auguriamo diventi strutturale.
*L’articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2025 su Ingenere.it che ringraziamo
