Io e la natura | 20° puntata

Cronache di una cittadina trapiantata su un selvaggio bricco del cuneese

di Manù

Sicuramente ci sono circostanze in cui i nostri desideri alterano la percezione della realtà, ma è un fatto che, mentre stavo pulendo il marciapiede dietro casa, ho sentito un cinguettio che mi ha fatto pensare a Minimo*. Qualche istante dopo un uccellino identico a lui si è posato sul melo, è sceso su un ramo vicinissimo a me, ha emesso una serie di cinguettii e fatto una piroetta appendendosi a testa in giù, per poi volare sul castagno vicino, cinguettare ancora un po’ e volare via.
Da quando Minimo se n’è andato a maggio dell’anno scorso è la terza volta che succede una cosa simile.
Sembra altamente improbabile che sia lui, perché dicono che quel tipo di animale si muove per istinto, una volta svezzato non riconosce più neanche i genitori e in ogni caso è esente dal provare affetto o simili.
Ma se ne dicono tante di cose!

 

Ho avuto la malaugurata idea di chiedere cosa ci fosse dietro ai cancelli di quella che sembrava una fabbrica, a una quindicina di km da qui, dove non ho mai visto anima viva, nonostante l’ambiente non sembri dismesso.
Dunque.
Li un tempo c’era una cava di sabbia.
In effetti la montagna intorno è tutta scavata.
Sembra che, scava oggi, scava domani, abbiano trovato non l’oro ma l’amianto.
Di conseguenza la cava è stata chiusa.
Non saprei dire se sia stata fatta qualche opera di bonifica o no.
Cosa mettere al posto di una ex cava di sabbia non più operativa per la presenza di amianto?
Un deposito di rifiuti industriali, naturalmente.
Tutto assolutamente legale e controllato, i rifiuti vengono stoccati nel sottosuolo nottetempo, a nulla sono valse le proteste degli abitanti dei paesi limitrofi, giustamente preoccupati per le falde acquifere.
Torno bastonata da questa notizia e non mi rimane che sperare nell’inattendibilità della mia fonte, consolandomi con la presenza di una salamandra dietro casa.

 

È iniziata la stagione della caccia e con essa l’enorme fastidio e preoccupazione che mi procura.
Quest’anno, più che mai, il nemico numero uno è il cinghiale.
Considerato anche da chi non si dedica all’attività venatoria un animale la cui sola utilità è quella di farsi sparare e finire in umido con la polenta, quando ha la malaugurata idea di riprodursi troppo e eccedere nel numero dà al cacciatore l’imperdibile occasione di sentirsi investito di una missione per conto di Dio.
E così, conscio dell’importante aiuto che offre a madre natura, che mica sempre la fa giusta, inizia a scorrazzare su e giù per i boschi con il fuoristrada, lucidato per l’occasione e poi sporcato di fango perché fa avventura, entrando nelle altrui proprietà non recintate e sparacchiando a tutto quello che si muove.
Io mi preoccupo per il mio gatto Bibo che è sempre in giro e ho paura che venga colpito per sbaglio, mi angoscio per quegli animali che passeranno i prossimi mesi a cercare un posto dove nascondersi e per quei poveri cani da caccia che vivono per la maggior parte dell’anno chiusi in un recinto o legati alla catena, spesso malnutriti e maltrattati, e hanno come unico sfogo il seguire una traccia nel bosco, spesso perdendosi storditi dai troppi input olfattivi.
Meno male che ci siamo evoluti.

 

Dopo aver passato l’estate a pulire lo zerbino dalle cacche di Clara, ho deciso di prendere altre due galline.
Le ho comprate per la modica cifra di euri 10,50 l’una.
E mi dicono che si trovano anche a meno.
Torno a casa con la mia scatola porta-galline e rifletto sul valore della vita di queste e altre creature, che vengono vendute, comprate, sfruttate, rivendute e spesso ammazzate.
Le papere, per la precisione i germani, si trovano a cinque euro.
Le oche tra i sette e i dodici.
Si spende di più se si vuole una pecora, tra i 60 e i 100 euro, ma negli allevamenti amatoriali si trovano anche a 30 o 40.
Il basso costo di questi animali spiega perché vengano trattati senza nessun riguardo, se si ammalano vengono lasciati morire, dal momento che curarli costa più che sostituirli.
Del fatto che possano avere freddo, paura, sentire dolore, non gliene frega niente a nessuno, gli addetti ai lavori hanno molta più cura per le macchine agricole, quelle sì che costano!
Va be’, non ci posso fare nulla, ma almeno ho assicurato una vita decente a queste due qui.
Bice e Tina.

 

Bice è una splendida pollastrella nera, dal carattere docile ma intraprendente.
Tina, che pensavo essere una gallina bianca screziata, è risultata invece essere sporca, non voglio sapere di cosa.
Tra l’altro me l’han venduta fallata, ha metà faccia e un occhio gonfio, probabilmente un’infezione.
Vorrei darle dei granuli omeopatici ma non so come diavolo fare, quindi vado di impacchi di propoli e camomilla, che comunque mica è così facile.
Lei è molto timida e paurosa, ma ha capito che male non gliene faccio.
Hanno tutte e due il becco integro, il che può voler dire due cose: o non hanno fatto in tempo a tagliarglielo, o non provengono da allevamenti intensivi, dove il numero di galline è talmente alto che per mancanza di spazio finiscono per beccarsi a morte tra di loro, quindi si risolve questo problema tagliando i becchi, come è successo alla povera Clara.
Non saprei dire se questa pratica sia dolorosa o no, ma sicuramente rende più complicato per l’interessata nutrirsi.
Se penso a tutto questo mi vien voglia di correre a comprare altre dieci galline, sei oche, sette paperi, due mucche, tre pecore e poi ancora.
Ma non lo farò.
Credo.

 

Ho potuto constatare che in linea di massima i “cittadini” sono estremamente snob nei confronti dei “paesani”, che considerano grezzi e ignoranti, arretrati e un po’ sporchi.
I “paesani” dal canto loro sono estremamente snob nei confronti dei “cittadini”, ritenuti dei vandali rammolliti che nel fine settimana invadono i loro territori, depredano frutti che non gli appartengono, rovinano prati destinati al fieno, parcheggiano le auto nei campi e gironzolano con i sandali facendosi mordere dalle vipere.
Devo dire che, crogiolata nel mio isolamento, sono piuttosto d’accordo con entrambi.

* Vedi la storia di Minimo nella 2° puntata
Foto di Manù e Andrea Ferrante

 

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