Io e la natura | 14° puntata

Cronache di una cittadina trapiantata su un selvaggio bricco del cuneese

di Manù

Il dialogo è alla base di buone relazioni, per questo io con i miei animali parlo molto.
È un po’ come parlare con qualcuno che non capisce la tua lingua, ma io confido che dei lunghi discorsi che articolo con le mie bestiole qualcosa arrivi.
Talvolta alcuni soggetti sembrano capire l’italiano.
E rispondono anche.
Linda ad esempio è una gran chiacchierona e risponde sempre a quello che le dico con acuti miagolii e se la avviso che stanno arrivando Bibo e Baby lei tira indietro le orecchie e corre a nascondersi.
Bibo e Baby sono più taciturni ma ascoltano attentamente e mi rispondono con il linguaggio del corpo. Occhi e orecchie in particolare.
Orecchie su, massima attenzione, orecchie indietro, contrarietà.
Occhi spalancati, preoccupazione, occhi socchiusi, compiacimento.
Il cane Michi, che è sordo, mugola, guaisce, ulula in continuazione, sempre a un volume altissimo e per comunicare con lui ho messo in atto una serie di segni che lui capisce immediatamente.
Dito puntato, levati dai piedi.
Mani incrociate davanti, basta mangiare.
Battere le mani, gioco o coccole.
Per fortuna è sordo ma non stupido.
Con le galline invece ho dovuto imparare la loro lingua, perché con la mia non ottenevo nessun risultato.
Sono diventata bravissima, alcuni versi del loro ricco repertorio mi vengono benissimo, così quando nel tardo pomeriggio voglio farle rientrare nel pollaio mi basta uscire e mettermi a chiocciare e loro anche se lontane arrivano di corsa e entrano, non prima di essersi fatte dare un grattino sulla schiena.
Per cui non è vero che non ho una vita sociale.

 

Un signore che vive in valle ha salvato una capriola ferita e non avendo uno spazio adatto mi ha chiesto se potevo farle fare un po’ di convalescenza nell’ex capanno delle pecore.
Figuriamoci se ho detto di no.
Emozionata dall’evento ripulisco per bene l’ambiente e preparo un bel giaciglio di paglia.
Il primo giorno la bestiola è stressata e spaventata, gli occhi sbarrati, si rifugia in un angolo con la testa rivolta alla parete e non tocca cibo.
Io sono in preda alla preoccupazione, mi fa una gran pena, non so cosa fare.
Il secondo giorno non tocca cibo e ha la dissenteria. Sempre nell’angolo.
Io vado a trovarla ogni due ore, la cospargo di fiori di Bach, non ho capito se le fa piacere o fastidio, ma mi annusa e si fa accarezzare, io son tentata di portarmi uno sdraio e dormire con lei nella capanna.
Il terzo giorno riprende a mangiare e la dissenteria sembra passata.
Non sta più nell’angolo ma si guarda intorno, incuriosita, un po’ sul chi va là.
Ha capito che sono più che innocua e che le porto cose buone da mangiare. Mi annusa tutte le volte che entro e si fa dare qualche carezza.
Il quarto giorno lo passa in piedi a fissare la finestra e a cercare di sbirciare fuori dalla porta tutte le volte che entro.
Il quinto giorno, in pena per la sua reclusione, le apro la porta.
Lei timidamente esce, esplora un po’ i dintorni della capanna, poi brucando qua e là, inizia ad allontanarsi.
Io la seguo.
Lei aumenta la distanza da me.
Poi di colpo si ferma, si lascia avvicinare, mi annusa, si fa fare una carezza e corre via.
MioDiosenevalehoapertotroppoprestosapràcavarselaeselaprendeunlupo!
Nei giorni seguenti con la scusa di fare una passeggiata l’ho cercata, compreso quello in cui, alla faccia della primavera alle porte, nevicava che Dio la mandava. Non l’ho più vista.
La capanna è ancora aperta, nel caso voglia tornare a farsi uno spuntino e stare al riparo, ma non vedo perché dovrebbe farlo, son mica San Francesco.

Torno a casa dalle mie ricerche con il cuore colmo di tristezza e preoccupazione, dicendomi che è giusto così, che non sono stata precipitosa e che ho avuto un grande onore nel conoscere un animale splendido, con due occhi dolcissimi e una grazia infinita.
Esperienza molto intensa.
Troppo breve, però.

Linda questa volta è davvero incinta.
Panciona e tettona.
Ho deciso.
Se ne fa due li tengo
se ne fa tre ci penso
se ne fa quattro due li do via
se ne fa cinque mi metto a piangere.

 

Foto di Manù e Andrea Ferrante

 

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