“Infectatura” in Argentina

di Gaby Weber

 

Villa Azul. Foto IzquieraWeb

Il 13 marzo, in piena estate, il neoeletto presidente Alberto Fernández ha dichiarato una rigorosa quarantena e ha chiuso le frontiere fino a settembre. Da allora, gli argentini non hanno più potuto nemmeno prendere il sole sulle panchine o passeggiare nel parco, le scuole e le università sono chiuse, e per settimane lo sono stati anche gli ambulatori medici e i centri diagnostici privati. L’Argentina ha un buon sistema sanitario pubblico, molto migliore di quello dei paesi vicini, e negli ospedali sono stati allestiti rapidamente i posti letto e tutti gli altri interventi medici sono stati sospesi – ma i malati non sono mai arrivati. All’inizio di giugno le morti ufficiali per Coronavirus sono 530 a livello nazionale.
La fine della quarantena non è in vista. Tuttavia, ora ci sono sempre più voci critiche da parte di chi non vuole o non può più rimanere rinchiuso. I diritti civili sono stati fortemente limitati: non c’è libertà di movimento e chiunque voglia uscire di casa deve installare sul proprio cellulare l’app CuidAR, di cui Amazon memorizza i dati. Il parlamento non si riunisce più, la magistratura è chiusa da marzo, si governa per decreti.
Molti detenuti sono stati scarcerati per l’impossibilità di igiene adeguata, tra essi anche assassini e stupratori (i politici corrotti erano già fuori). Le funzioni religiose sono state vietate. Il primo maggio è stato celebrato dalla sinistra, o meglio dai sindacati, su internet.
La metà o più degli argentini mangia la sera quello che guadagna durante il giorno, e questa gente ora vive delle donazioni “alimentari” che il governo distribuisce nei quartieri poveri. Alimentari tra virgolette, perché ciò che viene distribuito nei pacchi ha solo lontanamente a che fare con il cibo.
Finora non sono stati effettuati tamponi su larga scala, presumibilmente perché non è stato possibile acquistarne in numero sufficiente. E le poche volte che i tamponi vengono effettuati nei quartieri poveri, le persone risultano quasi tutte positive al Covid. Nei primi test su larga scala nelle baraccopoli di Buenos Aires, il numero di infetti era superiore al 50%, quasi tutti asintomatici. La baraccopoli Villa Azul è stata recintata e sbarrata dalla polizia. Nessuno può entrare né uscire: chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro. Il sindacato dei lavoratori agricoli, che voleva donare verdura e frutta biologica, ci è riuscito solo grazie a una piccola “rivolta del ghetto” che si è scatenata all’interno. Per distribuire pacchi di cibo e controllare le baraccopoli sono dispiegati 25.000 soldati.
Un gruppo di 300 intellettuali, soprattutto medici e scienziati, dell’ala conservatrice ha parlato in una lettera aperta di un “Infectatura”, ovvero infezione + dittatura. Anche una parte della destra, dunque, contesta l’autoritarismo con cui viene gestita la crisi del Coronavirus. In passato, la dittatura è stata introdotta in nome della “sicurezza nazionale”, oggi è in nome della salute.
Non si sa quando il governo peronista abbandonerà le restrizioni. Sembra piacergli il ruolo del direttore scolastico che mette i bambini in castigo. Mentre il vicino Uruguay conta sul senso di responsabilità delle persone e ha ottenuto buoni risultati nella crisi del Coronavirus, i peronisti amano le misure autoritarie. Il generale Juan Domingo Perón era addetto militare presso l’ambasciata argentina a Roma negli anni Trenta del secolo scorso e ammirava Mussolini. Oggi il cuore peronista batte ancora al ritmo di Benito, anche se sopra si indossa una T-shirt con Che Guevara.
“Lo facciamo per la vostra salute”, spiega ogni giorno il governo. Ma chi c’è in questo governo? C’è il ministro degli Esteri Felipe Solá, che a metà degli anni Novanta era segretario all’Agricoltura nel governo di Carlos Menem e che, contro il parere del suo stesso ufficio per l’ambiente, ha legalizzato per decreto il pacchetto tecnologico della Monsanto senza testare il glifosato per la compatibilità ambientale. Cristina Kirchner, che ora è vicepresidente, è stata presidente fino a quattro anni fa e, insieme al marito Néstor, ha ampliato la superficie coltivata a soia geneticamente modificata, e da allora metà del Paese è stata inondata di glifosato e altri veleni. L’attuale ministro della Salute Ginés González Garcia rivestiva già lo stesso ruolo sotto Kirchner. Nel mio film su Monsanto* gli ho chiesto perché non ha fatto niente contro il glifosato, anche se l’OMS lo definisce “probabilmente cancerogeno” e nelle zone di coltivazione della soia la gente muore di cancro tre volte più che nel resto dell’Argentina. Ha risposto che non c’erano prove.
Se l’economia si ferma, come è accaduto e sta accadendo, sarà la catastrofe della fame. L’Argentina non ha risorse finanziarie sufficienti per evitarla. Il sistema immunitario della sua terra e dei suoi abitanti è stato indebolito da un modello agricolo che, anche prima del virus, era sotto attacco da parte di una politica agraria che appoggia in tutto e per tutto l’agricoltura chimica.
Ora che l’inverno avanza, e la gente non ne può più delle misure estremamente restrittive imposte troppo presto, quando l’allarme non era ancora così forte, i contagi stanno aumentando, e colpiscono soprattutto i poveri, gli abitanti delle baraccopoli dove spesso nella stessa stanza, in uno spazio estremamente limitato, senza acqua potabile, convivono tre generazioni. Come si fa a mantenere igiene e distanza in queste condizioni? Mentre chi arriva dall’Europa viene messo in quarantena negli hotel, la gente degli slum viene chiusa e recintata nelle baracche.

Film di Gaby Weber su Monsanto: Tödliche Agri Kultur – Wie Monsanto die Welt vergiftet
Film sul Coronavirus in Argentina: Covid 19

 

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