Il buio a stelle e strisce

di Laura Marzi
Illustrazione di Doriano Solinas

Circa un mese fa una mia alunna armena, di fronte alla richiesta di scrivere un breve saggio su un argomento a scelta, ha deciso di affrontare il tema del genocidio del suo popolo. Beatrice, la chiameremo così, ha iniziato con un paragrafo storico introduttivo, ma poi ha subito deviato sul racconto della sua rabbia nei confronti degli Stati Uniti, della Nato e dell’Unione Europea, colpevoli secondo lei di gridare ora al massacro degli innocenti in Ucraina, mentre quando a morire erano gli armeni e le armene non hanno mosso un dito, se non per aggravare la situazione.
Il mio compito di docente è provare a insegnarle come comporre un testo oggettivo e inoppugnabile, per questo ho dovuto chiederle di riscrivere il suo saggio breve, rielaborando la sua rabbia in un discorso argomentato e chiaro. Le ho domandato comunque il permesso di condividere il suo sfogo con gli altri alunni e alunne, ma lei non ha voluto.
Desideravo che i suoi compagni danesi, polacchi, spagnoli, italiani venissero a conoscenza della tragedia in Armenia, ma anche che le parole di Beatrice potessero innescare un dibattito sulla politica internazionale degli Stati Uniti d’America. Li avrei ascoltati e avrei lasciato che fosse la sacrosanta rabbia di Beatrice a prendere il sopravvento invece che la mia, fiaccata da anni di discussioni eterne in cui ho cercato di far notare, per esempio, che gli USA da sempre trattano la penisola mediorientale come un pozzo da drenare, un campo di battaglia, dando per scontato che le popolazioni che la abitano non hanno la dignità neanche di sopravvivere.
Capisco però che Beatrice non abbia voluto sovraesporsi coi suoi compagni, ho deciso allora che per dibattere sull’importanza della letteratura condividerò con loro un articolo su Volere la luna tratto da un pezzo di Repubblica del 23 maggio, in cui viene riportata la ricerca di Pen America: un’associazione non a scopo di lucro fondata nel 1922 per la tutela della libertà di espressione, che denuncia negli States il ricorso sempre più invasivo alla censura, anzi, all’Indice.
L’indice dei libri proibiti era un elenco di testi vietati dalla Chiesa cattolica che risale al 1559. Nell’anno corrente 2023 in trentadue dei cinquanta stati americani vengono messi all’indice circa cinque, sei libri al giorno. Si tratta anche di classici della letteratura, come il capolavoro di Harper Lee, Peter Pan di J.M. Barrie, un’edizione a fumetti de Il diario di Anna Frank perché in una delle tavole ci sono disegni di statue di nudi, quasi tutti i romanzi della scrittrice premio Nobel Toni Morrison. Del resto il 40% dei libri censurati hanno protagoniste persone afroamericane. Il romanzo di Khaled Hosseini, invece, Il cacciatore di aquiloni, è bandito perché simpatizzerebbe per l’Islam: a quanto pare leggere la storia di persone musulmane con dignità è un reato, infatti i bibliotecari che non reagiscono immediatamente agli ordini di censura, rimuovendo dagli scaffali i libri incriminati, possono essere condannati a dieci anni di carcere in Oklahoma per esempio e a multe esorbitanti altrove.
Coloro, e siamo la maggior parte, che non conoscono a menadito la storia dell’Ucraina e dei suoi rapporti con la Russia e che parlano di questa guerra solo perché hanno comprensibilmente paura o perché è argomento di conversazione al bar, usano molto spesso come argomento a favore della politica statunitense (quindi della Nato, dell’Unione Europea, di questo paese) la motivazione che in Russia non c’è rispetto per la libertà. Innegabile, come lo è che mettere all’indice dei libri sia a sua volta un’azione liberticida.
La censura, questo invece lo sappiamo tutte e tutti, è un’espressione di paura, il tentativo estremo di cercare di fermare un cambiamento, di frenare l’evoluzione dei tempi, non a caso Paolo IV fece promulgare l’Indice dei libri in pieno Rinascimento. La libertà che attualmente gli Stati Uniti dicono di difendere è quella di esercitare ancora una volontà di dominio illimitata e se necessario spietata: la censura è la prova, però, che anche il gigante a stelle e strisce ha paura del buio oltre la siepe.

 

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