Gioco di sguardi

Intervista di Jane Austen a Margherita Giacobino

Illustrazione di Dalia Del Bue

 

È appena uscito per Mondadori l’ultimo romanzo di Margherita Giacobino, Il tuo sguardo su di me. A chi affidare il compito di intervistare una delle nostre scrittrici preferite del presente, se non a una delle nostre autrici preferite di tutti i tempi? Abbiamo chiesto a Jane Austen di apparire e lei non si è fatta pregare. Quello che segue è un’intervista a ruota libera sul libro e più in generale sui loro rispettivi romanzi, fuori dai canoni della critica letteraria o giornalistica.

Jane My dear Margaret, scusa se ti chiamo così ma noi inglesi abbiamo una tendenza a colonizzare quelli che incontriamo a cominciare dal nome, quando ho aperto il tuo romanzo mi sono detta: ecco una donna che sa mettere in ordine le sue priorità. Fin dall’inizio, tu ci dai delle informazioni essenziali sulla situazione economica dei personaggi. Mi lusingo di aver fatto scuola. I miei romanzi cominciano spesso con un accurato report finanziario: quali sono le entrate della famiglia? quant’è grande la proprietà? quando rende all’anno? e soprattutto: su che dote possono contare le figlie? Anche tu, fin dalle prime pagine, dai una risposta a tutte queste domande, e la risposta è: zero. Nessuna proprietà, niente denaro, nessuna dote, solo debiti. Un punto di partenza deplorevole ma interessante.
Non stupisce che a fare i debiti sia stato il marito, un giocatore e bugiardo patologico che ha alcuni punti di contatto con il mio Wickham, ed è opportunamente munito di zie da spennare. E fin qui ci muoviamo nel solco di onorate tradizioni. L’originalità sta tutta nella protagonista, la moglie, da te definita “la capitana della nave”, che appare dotata di ammirevole sangue freddo ed è molto ammirata da sua figlia. Ora, vista la propensione delle madri a essere scervellate e romantiche quanto e più delle figlie, la tua la definirei una madre-zia perché è invece razionale, concreta e autorevole, proprio come le zie che l’hanno allevata. Nel tuo romanzo esiste tra madre e figlia quell’atmosfera di reciproca affettuosa attenzione, quel farsi scuola a vicenda tra saggezza e impulso, emozione e conoscenza del mondo, che può stabilirsi solo tra persone che si sono scelte. Mi viene da chiederti: hai scelto tua madre?

Margherita Tu sai benissimo che le madri biologiche non si scelgono, neppure oggi (perlomeno non è la nascitura a scegliere), ma quelle simboliche sì, proprio come avviene per le sorelle e le zie simboliche – e quindi posso tranquillamente risponderti: sì, l’ho scelta. Ho scelto come madre simbolica la mia madre biologica, trovando in lei intelligenza, spirito e simpatia e chiarezza di buoni consigli, impartiti a volte con le parole e ancor più spesso con gli sguardi, i silenzi e qualche opportuna canzonatura. Mi ritengo fortunata: che felice coincidenza!

Jane È certamente molto pratico trovarsi già in casa, bell’e pronta, una madre simbolica – devo ammettere che non succede spesso. E può essere anche ingombrante: non ti sei mai sentita oppressa dalla sua onnipresente saggezza?

Margherita No, mia madre lavorava, era sempre fuori casa, era tutt’altro che onnipresente, perlomeno nella mia infanzia, quando la disparità tra noi era più grande e avrebbe potuto essere schiacciante. Aveva altre cose più urgenti di me di cui occuparsi: condurre in porto la nave familiare.

Jane Se per lavoro intendi quelle attività manuali che sono necessarie al quotidiano benessere, per non dire alla sopravvivenza, come impastare, infornare, stendere il bucato o lavare il pavimento, be’ anche le mie protagoniste le conoscono bene, di solito a svolgerle sono i personaggi citati solo per cognome, come le cameriere, o non citati per niente – ma a volte anche ragazze di buona famiglia, che hanno avuto l’imprudenza di sposarsi solo per amore, e non per denaro come Elinor Dashwood, le quali però si guardano bene dal parlarne in salotto! Ma il lavoro delle donne è onnipresente e vario, dal seguire le mode all’amministrare rapporti e finanze, per non parlare della cura con cui annaffiare e potare quella pianta delicata e invasiva che è l’ego maschile. Mi rallegra veramente il sapere che tutto questo daffare presso di voi è riconosciuto e adeguatamente retribuito!

Margherita Su riconoscimento e retribuzione temo di deluderti, cara Jane. Resta però il fatto che molte donne trascorrono la giornata fuori casa, lavorando, e non possono così incombere sulle figlie.

Jane Certo, bisogna avere grandi giardini per passare tutta la giornata fuori casa, e magari anche frutteti – c’è dunque molta ricchezza, molte composte di frutta per i mesi invernali, e che fortuna per le figlie! Mi accorgo solo ora però che nel tuo romanzo manca un elemento: lo scapolo appetibile. C’è, nella migliore tradizione, un padre sconsiderato, ma nessun giovane uomo da trasformare in marito, niente climax matrimoniale… Intravedo una relazione tra le due cose: il lavoro ben retribuito delle donne in effetti rende innecessari i mariti. Innumerevoli trame di romanzi del tutto nuovi balenano nella mia mente…
Oh, ma scusa, stavamo parlando del tuo, di romanzo. I tuoi personaggi, madri e zie e famiglia tutta, condividono uno humor che mi suona familiare, non raffinato come quello della mia Emma Woodhouse, ma più rustico e selvaggio – sono forse originari dello Yorkshire?

Margherita Sì e no. I miei personaggi sono nati una prima volta sui selvaggi colli del Canavese e una seconda e letteraria volta nell’immaginazione tinta di letture e sconfinamenti della loro narratrice, quindi sì, sono anche un po’ originari dello Yorkshire. Quello che volevo dirti è che credo condividano con te e le tue creature la consapevolezza di quanto lo humor sia necessario alla vita sul pianeta.

Jane E ci permetta di pronunciare verità altrimenti impronunciabili, come l’elogio della vigliaccheria (perché se tutti gli uomini fossero vigliacchi, le guerre finirebbero subito o non ci sarebbero nemmeno) o il fatto che una donna matura preferisca leggere o conversare piuttosto che soffiare il nasino a un nipotino. Del resto, la tua protagonista a una certa età va incontro a una trasformazione, sviluppa doti come un’impietosa lucidità, un eloquio tagliente, la libertà dal giudizio altrui, un fascino che la rende desiderabile, insomma diventa una strega. E sappiamo bene che per essere streghe a questo mondo non basta cavalcare scope e andare al sabba, occorre avere occhi che vedono e cervello che pensa.

Margherita Non avrei saputo dirlo meglio.

Jane Un’ultima domanda: cosa ti ha spinta ad affrontare un tema così fuori moda come il debito simbolico verso la madre?

Margherita Un’intima necessità. Come sai, la scrittura è una droga, solo questo spiega come mai si continui a praticare un’attività così desueta e poco redditizia. Ma colgo l’occasione per puntualizzare: a parte che in casa nostra lo specialista in debiti era mio padre, la parola debito è fuorviante oltreché deprimente, a chi piace avere dei debiti? Il debito simbolico dev’essere stato inventato da una filosofa femminista che ce l’aveva con sua madre e con poco senso finanziario, invece io quello che ho ricevuto da mia madre l’ho tutto reinvestito in ispirazione, azioni stimolanti e obbligazioni ad alto tasso di interesse, e ci ho guadagnato un bel po’. Quindi è ora di chiamare le cose col loro nome: non debito, ma ricchezza simbolica. Inoltre, mia madre sapeva fare i conti a mente senza carta e penna e capiva subito se un affare era buono o no. Alla faccia del debito.

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