Anche i ricchi pagano?

di Fabrizio Tonello
Vignetta di Liza Donnelly

 

Eh sì, è dura metter mano al portafoglio. Soprattutto quando si è abituati da decenni a rinviare, scansare, aggirare i pagamenti. Oltre che a truffare gli ingenui, i meno ingenui e anche quelli che si credevano furbi. Donald Trump forse (forse!) ha ancora un avvenire politico (si vedrà il 5 novembre, quando si vota per la presidenza) ma di sicuro il suo avvenire di miliardario è dietro di lui.
La prima sberla è arrivata l’8 marzo, quando ha dovuto pagare una cauzione di 91,6 milioni di dollari per poter fare appello nel processo per diffamazione che gli ha intentato Jean Carroll, una scrittrice che lui aveva aggredito sessualmente in un camerino prove di Bloomingdale’s (manco gli adolescenti infoiati fanno più queste cose, Trump sì).
Questi però sono solo gli spiccioli: la sentenza di febbraio 2024 in un processo civile per frode a New York ha colpito duro. Il giudice Arthur Engoron gli ha ordinato di pagare una multa di 355 milioni di dollari, a cui si aggiungono interessi sostanziali, facendo salire il conto a circa 450 milioni di dollari, più gli interessi legali che superano i 100.000 $ al giorno. I termini per depositare i quattrini scadono il 25 marzo e, nel caso di mancato pagamento, Trump non potrà fare appello, rendendo esecutiva la sentenza. A quel punto, secondo quanto dichiarato dalla procuratrice che ha condotto il processo, Letitia James, si passerà al pignoramento e alla vendita all’asta di una o più delle sue proprietà immobiliari.
Per Trump è una ferita non solo al suo conto corrente, che nell’immediato si svuoterà, ma soprattutto alla sua reputazione di miliardario che dispensava infallibili consigli sull’arte di fare affari, prima scrivendo bestseller e poi conducendo il reality show The Apprentice che è stato il terreno di allenamento dove ha costruito il suo stile comunicativo: istrionico e violento ma di indubbio successo. Una reputazione che è stata, ed è, alla base del suo successo in politica.
L’ex presidente, accusato di aver tentato di rovesciare con la forza il risultato delle elezioni del 2020, forse se la caverà nei vari processi penali che lo riguardano, che le tattiche dilatorie dei suoi avvocati forse riusciranno a rinviare a dopo le elezioni (Trump spera di vincere per poi passare un colpo di spugna su tutto). Nelle controversie di affari, invece, la giustizia americana fa sul serio e chi deve pagare paga, o finisce in una cella mal riscaldata, come accadde nel 1980 a Michele Sindona, condannato a 25 anni di galera per il fallimento della sua Franklin National Bank.
E Trump, se non viene rieletto, rischia esattamente questo: nell’arco dei prossimi cinque anni deve estinguere mutui garantiti dalle sue varie proprietà per un totale di circa un miliardo di dollari e non potrà facilmente accordarsi con le banche per ristrutturare il debito: il processo che ha portato alla sentenza del mese scorso riguardava appunto i suoi imbrogli con le banche di New York, oltre che con il fisco. Oggi Trump non solo è un cliente più che sospetto agli occhi di Wall Street, ma anche qualcuno che potrebbe non essere in grado di gestire le sue proprietà perché il giudice Engoron gli ha vietato di ricoprire per tre anni ruoli direttivi in qualsiasi azienda dello stato di New York, compresa la sua Trump Organization, che sarà gestita da un commissario. Se questa decisione non verrà rovesciata in appello la cosa migliore che l’ex presidente fellone può fare è trasferirsi nottetempo in Belize, dove l’estradizione con gli Stati Uniti non è prevista. 

 

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