Una nuova forma di discriminazione: la satirafobia?

della Misantropa
Vignette di Pat Carra

 

L’incessante e suggestiva lotta contro e per l’ingiustizia nel mondo non finisce mai di stupirci e intrattenerci con la sua mutevolezza.

È chiaro che il primo campo di battaglia è oggi quello linguistico. Se una volta c’erano i poveri e gli oppressi, che chiedevano pane e habeas corpus, oggi ci sono i discriminati la cui prima sacrosanta richiesta è quella di far entrare il nome della propria specifica discriminazione nei dizionari, nei social, nelle parole delle canzoni, sulle etichette dei cereali e nel codice penale.

Nate dal felice connubio tra political correctness e pride (che, come ci insegna una delle più amate zie di tutte noi, va di solito a braccetto con prejudice), queste nuove parole indicanti la discriminazione costituiscono uno dei settori produttivi maggiormente in crescita, tanto che si sta studiando il modo di introdurlo nel Pil.

Tra parentesi notiamo che lo stile di queste parole si è evoluto, passando dal già collaudato -ismo (sessismo, razzismo, classismo ecc.) al più attuale -fobia, più snello e adatto per un uso modulare (es. omo-trans-lesbo-bi-plus-fobia). I suffissi hanno decisamente spodestato i prefissi, resistono la mis-antropia e la miso-ginia che, però, oltre a essere un po’ retrò sono decisamente generiche, a-specifiche e quindi identitariofobiche.

La fine delle discriminazioni è prevista per il 2050. Entro tale data saranno forniti a tutti i discriminati parità e uguaglianza: le donne saranno uguali agli uomini, i non-caucasici ai caucasici, i poveri ai ricchi e così via, ma nel rispetto delle differenze (gli uomini, infatti, non saranno uguali alle donne e i ricchi saranno ancora più diversi dai poveri, mentre i caucasici, visto il trend economico dell’Occidente, cercheranno di passare per non-caucasici per trovare un lavoro). Nel frattempo, a ogni categoria verrà messa a disposizione un’area protetta, separata dalle altre da paratie antiproiettile e con guardie armate nei punti di intersezione, per tenere sotto controllo i vivaci conflitti tra i gruppi discriminati. Nelle aree protette, ciascun gruppo sarà tutelato da ogni e qualsivoglia forma di critica, osservazione sgradevole e satira, indipendentemente dai suoi comportamenti.

A tale proposito, un comitato scientifico interdisciplinare composto da antropolog*, climatolog*, giornalist*, chef, virolog* e influencer ha elaborato un protocollo che disciplina l’uso della satira nel mondo socio-pandemico. Le categorie a cui verranno assicurate tendopoli satire-free comprendono:

 

  • persone non-caucasiche, non-ricche, non-giovani, non-normodotate a qualsivoglia livello (per la danza, la matematica, il pensiero logico etc.);
  • appartenenti a qualunque categoria che cominci con dis- (tranne i disk-jockey) o con trans- (a eccezione dei transfughi, che sono ancora al vaglio del comitato);
  • gay (e lesbiche ma solo se rientranti nella categoria gay);
  • animali domestici e non, purché non-maschi, non-eterosessuali, non-ricchi, non-giovani, non-normodotati (si potrà, p.es., fare satira sul gatto di un miliardario texano o di un oligarca russo, ma solo se maschio e non castrato);
  • donne (tutte quelle che non rientrano nelle precedenti categorie, o che si trovano in una o più intersezioni con esse).

Chi dovesse esercitare satira contro una o più di queste categorie verrà punito con la lapidazione online (o in presenza, se la religione del gruppo offeso lo prevede).

Tale protocollo, e relative sanzioni, è di fatto già in vigore.

Ne consegue quindi che:

 

  • le categorie protette sono così numerose che oggi, per sfuggire a condanne per -ismi e -fobie, si può fare satira soltanto sui Maschi Eterosessuali Ricchi e Bianchi (MERB);
  • ulteriori limiti alla satira derivano dal fatto che i MERB sogliono circondarsi di non-MERB a cui fanno fare il lavoro sporco, e possiedono sufficienti mezzi per sterminare fisicamente o economicamente chi li importuna (anche se è vero che alcuni di loro sono meno suscettibili delle categorie protette, e interpretano la satira come un omaggio alla loro personalità);
  • una donna non può fare satira sulle amiche e le nemiche (più correttamente definite “amiche che sbagliano”) e neppure su se stessa.

A questo proposito si suggerisce che all’elenco dei termini identitari antidiscriminatori sopra citato venga aggiunta una modesta, ma tuttavia significativa, voce: la satirafobia.

 

 

Le pagine di Erbacce contrassegnate da copyright sono protette e non riproducibili in nessun modo. Tutte le altre immagini e i testi di Erbacce sono rilasciati con licenza
Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported License
Licenza Creative Commons