Ufficio di collocamento

di bulander
Illustrazioni di Federico Zenoni

Finalmente, dopo due ore di coda, è il mio turno. Quello dello sportello sembra simpatico.
“Ha portato il curriculum?”
“Cos’è?”
“È quello dove c’è scritto tutto quello che ha fatto, i lavori.”
“Ah!”
“Beh, senta, si metta lì da parte, io le dò un foglio di carta e la biro e lei ci scrive tutto quello che ha fatto prima di venire qui.”
“Tutto?”
“Sì, sì, tutto, cerchi di non dimenticare niente e scritto chiaro, mi raccomando, che si legga bene, nome , cognome, data e luogo di nascita e indirizzo.”
C’è una sedia, mi metto in ginocchio e scrivo sul sedile. Primo lavoro “garzone officina riparazioni auto” (da mio zio che non mi pagava e diceva che sono scemo), “garzone barista” (dal fratello di Tonino, che non mi pagava ma diceva che potrei riuscire), “rovistare nei cassonetti delle scovazze” (ma è un lavoro? boh, io lo metto, lui dice di scrivere tutto, però è generico, devo dire da via Aquilino a piazza Berlusconi, si capisce meglio), “distributore volantini in cassette di posta”, “aiutante buttafuori discoteca Blue Mystery”, “ausiliare di cucina ristorante La Garibaldina (il cuoco quel bastardo), “rovistare nei cassonetti…” (ma no, non lo scrivo, poi sembra che vengo qui a chiedere la carità).
Torno allo sportello: “Ecco!”, quello dà un’occhiata, “Beh almeno si legge…”
Poi con un grido di meraviglia: “’La Garibaldina! ma veramente ha lavorato lì? Ci viene spesso Briatore, no?”
“Eh certo, lo ho anche visto!”
“Davvero! E com’è? Come si vede in televisione?”
“L’ho visto una volta sola, è proprio così, lo guardavamo a turno, il cameriere ci avvertiva quando Briatore era in sala, gli davamo cento euro…”
“A chi? a Briatore?”
“No al cameriere, facevamo una colletta, era rischioso guardarlo eh, se ci beccavano che mettevamo il naso fuori dalla cucina ci davano una multa… poi quel figlio di buona donna del cuoco ci ha denunciati e ci hanno cacciati tutti.”
“Ma come, per così poco? E chi è il padrone?”
“Boh, non l’ho mai visto, dicevano che era arabo, un nome come caratto, catarro…”
“Quatar?”
“Ecco sì, una roba del genere.”
“Però ha visto Briatore in persona, di che si lamenta, fa curriculum sa, lei è fortunato. Andiamo avanti. Scusi, cos’è scritto qui, rovistare?”
“Sì, perché non si dice così?”
“Non è mica elegante, potrebbe scrivere secernitore rifiuti urbani”
“Inceneritore?”
“Ma nooo, secernitore dal verbo se-cernere, è latino puro, vuol dire separare, distinguere la roba buona da quella cattiva”
“Ma io lo dicevo perché le scovazze poi vanno nell’inceneritore”
“Scovazze si dice nel Veneto, qui siamo a Roma, si dice rifiuti urbani, urban waste.”
“Ah, scusi”
“Ma no, si figuri, qui siamo tutti una famiglia. Lei potrebbe avere un bel curriculum, se solo si potesse scrivere che ha visto Briatore in persona.”
“Lo scriviamo, se mi dà ancora il foglio e la biro, lo scrivo immediatamente.”
“Eh no, quella è un’aggiunta, un addendum, come si dice in latino, bisognerebbe chiedere la deroga per aggiunta al cv, dovrebbe far richiesta, ci sono i moduli prestampati, i famosi pac, petitio de addendis curriculorum, aspetti guardo nel cassetto che magari ne trovo uno…”
Non lo trova e allora si alza dicendo “Forse al piano di sopra” e sparisce. La gente in coda comincia a rumoreggiare e se la prende con me: “Staremo qui altre due ore per i comodi tuoi? E lascia libero quello sportello, che qui c’è gente che hai i figli a casa, vai a dormire, vai!”
Prima che mi prendessero a botte me ne sono andato. Adesso che sapevo che con Briatore potevo fare molta strada, mi volevo togliere un paio di sassolini dalla scarpa. Il primo sassolino con quel mio zio sfasciacarrozze che diceva che ero scemo.
“Salute zio, bella giornata eh?”
“Ohè, che diavolo vuoi qui?”
“Io ho visto Briatore in persona.”
“Embé?”. Era un ignorante, non poteva capire. “Adesso ho una strada davanti”
“Ah, una strada? E allora cammina, vai, vai per la tua strada e lasciami lavorare”. Era proprio un arretrato.
Il secondo sassolino con quel bastardo del cuoco. A La Garibaldina due figuri sbarrano l’ingresso e m’impediscono di entrare. Dentro c’era Briatore che pranzava con quella ministra, come si chiama? Ce l’ho sulla punta della lingua… Sambenché, ecco. “Dove vorresti andare?”, mi fanno. Mettersi a litigare è peggio, conoscevo il modo per entrare dal retro. Portone di via Abbuffi 17, cortile, in fondo a destra c’è la porta di servizio della cucina. Sbircio dentro, il cuoco sta facendo palascinke flambé, fiamme alte un metro escono dalla padella. “Uhè pezzo di…., adesso che ho visto Briatore ti sistemo a dovere!” Quello, colto di sorpresa, terrorizzato da quel nome, perde il controllo della padella… per farla breve, una torcia umana.
L’indomani titoli dei giornali: Flavio Briatore al reparto Grandi Ustioni al capezzale dello chef stellato Perporini. Fuoco nelle cucine del ristorante La Garibaldina provoca panico e due feriti.
Aveva ragione quello dell’Ufficio Collocamento, ho fatto strada, ho trovato lavoro presso un’agenzia di recupero crediti. E mi pagano, contratto d’apprendistato, ma è una bella differenza dal se-cernere. Latino puro, ha detto quello. Lo facevano gli antichi romani, e allora lo facciano loro, quelli del Quatar, perché devo farlo io che ho visto Briatore di persona?
Ma devo ricordarmi che non si dice scovazze ma urban waste. Adesso che so l’inglese potrei anche chiedergli l’autografo. Anzi, so pure un po’ di latino, curriculum, curriculorum. Gli chiedo un selfie, guarda.

 

 

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