Piccole donne uccidono

Dal diario del sottotenente di artiglieria Beth March

della Misantropa
Illustrazione di Isia Osuchowska
da Aspirina la rivista n.10 aprile 1991

 

 

Accademia Militare Mae West Point, ottobre 1990

Lunga discussione con Jo sulla guerra. Jo sostiene che la guerra è assolutamente necessaria, perché altrimenti i ragazzi qui finirebbero per pestarsi uno con l’altro, visto come li hanno torchiati. Sono sotto pressione come testate nucleari pronte ad esplodere, dice. Davvero? dico io. Personalmente mi sento un po’ depressa, ma sarà colpa della sindrome premestruale. Vorrei che Jo la smettesse di chiamare le nostre compagne di Accademia “i ragazzi”. È una cosa che urta il mio senso dell’ordine, come la sua mania di mettere i piedi sulle coperte con gli stivali sporchi, e tutti quei giornali con uomini nudi che tiene buttati sotto il letto. Però finisco sempre per perdonarla. Quando la guardo dormire abbracciata al suo bazooka, mi fa tanta tenerezza.
Rivedo in lei la bambina cicciona e maldestra che a dieci anni mi metteva i porcospini nel letto e spaccava con i suoi pugnetti paffuti gli incisivi di Laurie “la fatina”. Ah, se lui sapesse quanto male le ha fatto! È stato quando ha scoperto che Laurie amoreggiava con il suo professore di arti applicate, uno del gay lib di San Francisco, che Jo ha tentato di suicidarsi buttandosi nel lago con la sua Harley Davidson.

In seguito, quanto ha rimpianto questo gesto! Non ha mai davvero superato la perdita di quella moto. Ho cercato di consolarla, ma qualcosa in lei si era spezzato, oltre a un braccio e una gamba.
Sono ormai convinta che è stato l’amore impossibile per Laurie a spingere Jo verso la carriera militare. Se a Laurie piacciono gli uomini, si è detta, ebbene io diventerò più uomo di chiunque altro, e gliela farò vedere io. Be’, ha funzionato a metà. Jo non è riuscita a riconquistare Laurie, ma è diventata tenente colonnello. Sì, ora gli uomini si sentono attratti da lei, soprattutto i giovani soldati semplici che si eccitano per le sue mostrine luccicanti e per i suoi bicipiti, ma alla fine quando si accorgono che non è un uomo fino in fondo, si rompe l’incantesimo. Suppongo che sia il destino della donna, qualcosa che ha a che fare con la natura o la luna o le maree o il metabolismo degli zuccheri, qualcosa di fisiologico insomma.
In quanto a me, quello che mi attirava nell’Accademia Militare era il poter seguire gratis i migliori corsi di economia domestica di tutti gli States, e giusto allora eravamo senza soldi, in casa (i nostri genitori si erano appena separati, papà stava cercando di entrare in politica e si era indebitato per quella sua rovinosa campagna elettorale, mamma si era fidanzata con un terribile ballerino classico e prosciugava i nostri conti in banca per fargli costosi regali).
Naturalmente, a scuola oltre a ricamo e cucina ho dovuto fare anche altre cose meno femminili, tipo sparare – ma poi che vuol dire? Secondo me, una vera donna si vede anche da come spara. Per esempio io cerco sempre di sporcare il meno possibile, odio quelle raffiche disordinate che fanno schizzare ogni sorta di porcherie attorno. Al corso di tiro ero sempre la prima, l’istruttore lodava la mia precisione: un colpo solo in mezzo agli occhi e dang! la sagoma cadeva bella e pulita. Se dobbiamo uccidere, facciamolo con metodo e praticità, senza sprechi, in modo sostenibile. Io trovo che oggi si dà molta importanza all’aspetto spettacolare della morte, trascurando quello sostanziale. Questo accade perché gli uomini vogliono tenersela stretta, e non sanno che le donne saprebbero gestirla infinitamente meglio. Nel mio piccolo, io cerco di dimostrarlo ogni volta che posso.
Ma quello che mi piace davvero, è ricucire i feriti. Ho fatto promettere a Jo che se andremo in Iraq mi darà anche la sua parte di feriti da ricucire. Jo non è portata per i lavori casalinghi, preferisce la strage. Io adoro vedere quegli occhi bluastri e gonfi che si schiudono per un ultimo sguardo disperato sul mondo. Chi è che ha detto “Amo uno sguardo d’agonia?” Dev’essere stata una famosa poetessa, o forse quella tizia che ammazzava bambini a Chicago, non ricordo.
Nonostante questo, non sono del tutto favorevole alla guerra. Non posso dirlo a Jo per non ferire i suoi sentimenti, e anche perché mi riempirebbe di botte, ma trovo che nella guerra c’è qualcosa di volgare, se non fossi emancipata direi che non è una cosa da signora. Se proprio dobbiamo far fuori un paese brutto e cattivo, mandiamo un bel carico di armi e un po’ di agenti speciali a dirigere la faccenda, e stiamo a casa tranquilli mentre quelli si ammazzano tra loro. Ma no, dobbiamo far vedere i muscoli. Spettacolo, tutto è spettacolo di questi tempi.
Comunque ci andrò, se è necessario. Tra la guerra e tornare a casa dalla mamma, preferisco la guerra.

 Queens, dicembre 1990

 

È commovente essere a casa, in famiglia. È una cosa che mi riporta all’infanzia e mi provoca crisi d’asma. A tavola mi sembra di soffocare. La mamma dice che è psicosomatico, che io sono sempre stata una lavativa e che sto tentando di non farmi mandare in guerra. Jo le ordina di chiudere il becco, o se ne pentirà.
Jo è un po’ rude, ma mi vuole tanto bene. Con lei mi sento al sicuro. Dice che se sarò uccisa in guerra, trasporterà il mio cadavere a nuoto dal Golfo Persico (ovunque sia quel fottuto posto) fino a New York, e lo deporrà ai piedi della statua della Libertà. Mentre lo dice, grandi lacrime le cadono nel whisky, e anch’io devo correre in bagno e sentirmi male. Il pranzo in effetti era un po’ pesante.
La mamma è in splendida forma accanto al suo quarto marito, Ahmed il macellaio halal, e dopo aver mangiato l’ottava fetta di torta alla panna dice che è orgogliosa di noi, e di se stessa per averci dato questa grande occasione di realizzarci come donne, facendo quello che gli uomini hanno sempre fatto con i risultati che vediamo.
Jo le ricorda che lei non ci ha mai dato un bel niente, se non un mucchio di sberle quando eravamo piccole, e che è sempre stata un’ubriacona. Le dice anche  – questo è indelicato da parte sua – che quando papà e lei litigavano, sperava sempre che si facessero fuori a vicenda e che noi fossimo adottate da quella simpatica coppia dei servizi sociali. (A volte Jo è così romantica e ingenua!) La mamma le tira un ceffone e urla che ha smesso di bere da un pezzo, cosa che non si può certo dire di Jo. Poi scoppia a piangere.
Jo si innervosisce – non sopporta le donne che piangono – e spara un colpo, ma per fortuna manca la mamma, e ferisce Ahmed che si è slanciato per proteggerla, o forse è lei che si è riparata dietro di lui.
Ahmed sviene alla vista del sangue, e pensare che dovrebbe esserci abituato, col suo mestiere. Questo dà ulteriormente sui nervi a Jo, che aborrisce gli uomini effeminati, soprattutto quando non si depilano. Sta per finirlo borbottando ‘uno di meno, tanto siamo già in guerra’, ma io mi oppongo, la casa è già sottosopra. Jo si lascia disarmare, è stanca e depressa. Io invece comincio a sentirmi meglio, come sempre nelle emergenze, ed esamino la ferita di Ahmed, un semplice graffio alla spalla che ricucio con mezzi di fortuna, usando il filo con cui la mamma ha legato il tacchino. Ahmed, tuttora inconscio, è un agnellino, il ferito perfetto.

‘Mamma’, chiedo, ‘perché hai sposato un macellaio halal proprio ora che sta per scoppiare la guerra contro gli arabi? Non credi che i vicini di casa potrebbero dare segni di ostilità? A proposito, cos’è quella croce che brucia in giardino?’
I nervi della mamma cedono. Piange più forte che mai, e con voce rotta dice che la sua vita è stata un inferno fin da quando ha scoperto che papà adescava i ragazzini della parrocchia mettendo foto porno dentro le Bibbie. Afferma fra i singhiozzi che Ahmed è l’ultima speranza che le resta di scoprire la sua sessualità, dopo settant’anni di frustranti tentativi con uomini di ogni razza e religione. Jo per non sentirla si è messa su le cuffie e ascolta rapita Bruce Springsteen (non è tenera? mi ha confessato che uno dei suoi sogni erotici preferiti è quello di violentare uomini efebici e carini con tendenze liberaldemocratiche). Io per calmare la mamma le servo una porzione quadrupla di gelato alla menta con cioccolato.
Alle quattro del pomeriggio la mamma cade in coma diabetico.
In quel momento arriva Amy. È in borghese, e dall’inclinazione del suo borsalino capisco che è incazzata nera. Jo e io stiamo cercando di risollevare la mamma dal pavimento, il che non è facilissimo, visti i suoi centoventicinque chili.
Amy ci annuncia che fra lei e l’esercito è tutto finito. Jo lascia cadere la mamma, che sbatte la nuca contro il bordo del camino. Per Jo questo è un colpo terribile, e anche per la mamma, direi.
‘Devi essere uscita di testa’, dice a Amy.
‘Non hai visto la tv ieri sera?’
‘Non guardo la tv la vigilia di Natale! Stavo festeggiando con i ragazzi in un locale di spogliarellisti’, dice Jo.
‘Be’, credevo che i tempi fossero cambiati, ma mi sbagliavo’, dice Amy accendendosi uno spino al fuoco del camino. ‘Pensavo che certi stupidi pregiudizi dovessero cadere, soprattutto in un momento di emergenza come questo. Così ho detto a un fottuto giornalista che intervistava le truppe in partenza che, in qualità di lesbica americana, ero ansiosa di spaccare le palle ai nemici del mio paese. Ero un po’ su di giri, avevo appena finito gli allenamenti col kalashnikov. Bene, la notte scorsa il colonnello Firewell ha visto quella dannata intervista in tv e ha avuto un attacco di itterizia.’
‘Ma non siete culo e camicia, tu e quella vecchia befana?’ la interrompe Jo.
‘Eravamo. Tu non ci crederai, ma mi ha sbattuta giù dal suo letto e ha urlato che sono una pazza furiosa e una pericolosa traditrice dell’esercito. Millicent, le ho detto, un po’ di contegno, sei paonazza! Dannazione al suo maledetto vizio di tenere sempre la tv accesa, qualunque cosa stia facendo. Ho dato le dimissioni oggi stesso. Altrimenti mi avrebbe deferita alla corte marziale.’
‘Oh, Amy, mi spiace tanto di come sono andate le cose tra te e Millicent!’ le dico io.
‘Ah, quella era solo una storia senza importanza. La mia ragazza mi aspetta in California. A proposito, Jo, mi impresteresti la tua pistola? Devo far fuori quel bastardo di suo marito.’
‘Ehi, dovevi pensarci prima. Sei  una civile, adesso, non puoi far fuori chi ti pare’, le rammenta Jo. ‘E non fare la taccagna, se vuoi una pistola compratela, l’armeria qui all’angolo lavora anche nelle festività, puoi andarci pure subito.’
‘Entrerò in polizia’, annuncia Amy. ‘Lì sono più aperti, basta che una non si metta con donne di colore.’
Spero che la mamma non si risvegli mai più dal coma. Una notizia come quella che ci ha dato Amy la ucciderebbe, povera mamma. Ha cercato con ogni mezzo di fare di noi delle donne normali, e non è colpa sua se ci è riuscita.

Adesso è sera, sto mangiucchiando resti di tacchino freddo, Ahmed geme piano nel lettino da campo dove l’ho messo, la mamma è all’ospedale in prognosi riservata, e Amy e Jo si sono addormentate davanti al camino, la testa bionda di Amy contro il mullet nero di Jo. Tutte e due russano dolcemente, Amy stringe ancora fra le mani una bottiglia di birra vuota, Jo un osso rosicchiato.
È bello fare Natale in casa, fra sorelle, in armonia.
Mi manca solo Meg. Penso che le telefonerò stasera, per raccontarle della nostra riunione di famiglia.

A bordo del destroyer ‘Emmeline Pankhurst’, gennaio 1991

Eccoci ormeggiate nel Golfo. Sono qui da meno di due settimane, e già mi annoio. Mi manca la tranquilla vita di caserma, le serate a ricamare davanti al televisore, e soprattutto la terza replica di Twin Peaks e i film dell’orrore in tarda serata. Certo, qui l’intrattenimento non scarseggia, se scendo a terra posso vedere gente massacrata tutti i giorni, ma si sa che dal vero non è quasi mai bello come in televisione. Alla tele tutto sembra sempre più vero, più emozionante, almeno per quell’ora o due, mentre la realtà è così al di sotto delle aspettative, così monotona. Invidio la mamma, che può godersi la guerra davanti allo schermo.
(Ho già detto che si è ripresa benissimo? Ha cominciato una dieta senza carboidrati, a base di bistecche al sangue. Inutile dire che ha lasciato Ahmed.)
Quando esco in missione, col mio fucile in spalla e le mie bombe a mano tutte belle pronte e in ordine, penso alle mamme dei soldati: poverine, dev’essere così sconvolgente per loro sapere che i loro figli maschi sono in territorio nemico, esposti a mortali pericoli non appena mettono piede in strada. Certo, per noi femmine è diverso, noi ci siamo abituate, e anche le nostre mamme non stanno così in pena.

Mamma mi ha scritto: ‘Preferisco saperti in guerra in mezzo a bravi ragazzi e donne perbene, piuttosto che da sola di notte in certi quartieri di New York’. Be’, naturalmente si illude un po’ sui bravi ragazzi e le donne perbene, però una cosa è certa: perché mai i nostri valorosi soldati dovrebbero divertirsi a violentare e assassinare proprio me, quando c’è il nemico a disposizione? Però sono contenta, perché ancora qualche anno fa una donna americana non avrebbe mai potuto sperare di fare lavori importanti come sterminare migliaia di persone, e per di più senza fatica, solo schiacciando un pulsante, come facciamo noi tutti i giorni sui nostri aerei, e siamo talmente abituate che non ci pensiamo neanche più.
L’altro giorno una ragazza che si stava mettendo lo smalto sulle unghie ha lasciato cadere per sbaglio una bomba su una delle nostre navi. Apriti cielo! Certo, ha sbagliato, si è distratta – ma, dico io, se fosse stato un uomo avrebbero lasciato correre. Lo stress, l’errore umano e via dicendo. Gli uomini sono tanto comprensivi gli uni con gli altri, soprattutto quando la frittata è fatta; è una cosa che noi donne dobbiamo imparare da loro.
Ma tutto questo, in fondo, non mi rende felice. A volte penso che io sono una donna dell’Ottocento, e che avrei tanto amato restarmene chiusa in casa a cucire e suonare il piano, e veder morire il papà, la mamma, le mie care sorelle, i cani, i gatti, i canarini, uno dopo l’altro, secondo l’inevitabile scorrere del tempo e susseguirsi delle stagioni. Ma, come dice Jo, se vuoi emanciparti non puoi mica dar retta ai tuoi desideri.
La vita non è bella per nessuno.

Base militare segreta nel Golfo, febbraio 1991

Jo è caduta nelle mani del nemico, che la tiene prigioniera.
Da giorni seguo con trepidazione le notizie, e con me tutto il mondo civile: il rappresentante delle forze democratiche ha invano cercato di negoziare la sua liberazione. Il portavoce del selvaggio e brutale nemico ha rifiutato, dichiarando che verrà probabilmente lapidata, a meno che non venga sotterrata viva nella sabbia bollente del deserto.
L’animo di tutte le persone evolute e libere è sconvolto nell’apprendere che una donna possa essere sottoposta a tanta barbarie, per il semplice fatto di aver ucciso alcuni civili senza apparente motivo. À la guerre comme à la guerre, non lo sanno questi selvaggi?
Il nemico precisa che la condanna non è per quelle poche centinaia di donne e bambini che Jo ha mitragliato, ma perché è entrata dentro una moschea senza togliersi le scarpe.
La sola cosa che mi consola è sapere che lei non è impreparata. È in momenti come questi che le sofferenze fisiche e morali, le profonde e vergognose umiliazioni che ci hanno fatto subire nell’esercito si rivelano provvidenziali.
Jo andrà incontro al suo destino a testa alta, sapendo che la morte non è più brutale della vita quotidiana, è solo meno noiosa.

Ho ricevuto una cartolina da quella disfattista di Meg, che da quando ha aperto quel centro per donne picchiate ad Harlem non ci saluta neanche più (soprattutto da quella volta che Amy le ha detto che l’avrebbe rifornita volentieri con un paio di clienti. Meg, come tutte le femministe, non ha il senso dello humor.)
Sono felice che questa occasione ci riavvicini. È ovvio che Meg è un po’ invidiosa di tutta la pubblicità che sta avendo Jo, e non si rende conto che nostra sorella se l’è meritata, perché qualunque cosa le facciano ora, lei l’ha già fatta a qualcun altro, da persona veramente specializzata e professionale. Il femminismo, invece, mi ha sempre colpito come una faccenda dilettantesca e abborracciata, dove tutte dicono la loro e nessuna passa dalla parola ai fatti.
Qual è il senso di tutto ciò? ho chiesto una volta a Meg. Odiate gli uomini? Volete sterminarli? E allora perché non lo fate?
Lei ha profuso un sacco di fiato per convincermi che non era così. Peccato, perché la cosa poteva anche interessarmi, se avesse avuto un po’ più di mordente.
È per questo che tutto sommato preferisco l’esercito.
Però, forse, quando finisce questa guerra e torno a New York, andrò a dare un’occhiata a quelle donne picchiate. In tempo di pace, ci si accontenta.

 

*Il racconto, dopo Aspirina nel 1991, è stato ripubblicato nella raccolta Un’americana a Parigi (ed. 2108, Il Dito e La Luna)

 

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