Perù in un vicolo cieco

di Gaby Weber

 

All’inizio di aprile 2022, una rivolta ha scosso la capitale peruviana Lima. I camionisti hanno protestato contro il nuovo aumento dei prezzi della benzina, e gli agricoltori e i cittadini contro il caro cibo.
Il presidente Pedro Castillo dell’alleanza elettorale di sinistra Perù Libre ha dichiarato immediatamente lo stato di emergenza e ha imposto il coprifuoco. Ma le proteste non sono cessate e il governo ha dovuto fare marcia indietro. La polizia ha respinto violentemente i manifestanti. Ci sono stati dei morti.
Negli ambienti governativi si dice che a far salire le tensioni sono stati provocatori pagati. Può darsi, ma è anche chiaro che gran parte della popolazione è insoddisfatta della politica di Castillo, che non mantiene le sue promesse elettorali e lascia campo libero ai partiti di destra.

 

Le elezioni di luglio 2021 erano state vinte a sorpresa, in fase di ballottaggio, da Castillo, uomo poco appariscente, maestro di scuola, sindacalista cattolico provinciale con un grande cappello in testa.
Il simbolo del suo movimento è la matita, che simboleggia “Educazione per tutti”, cosa che lui e il suo partito Perù Libre avevano promesso in campagna elettorale.
Il loro programma includeva anche la riforma costituzionale, la democratizzazione dei media, la giustizia sociale e la nazionalizzazione delle miniere. In altre parole, le classiche richieste socialiste.

La vittoria di Castillo ha dato speranza a molti esponenti della sinistra latinoamericana. È seguita poi un’altra vittoria nel Pacifico del Sud, in Cile con Gabriel Boric. E l’ex guerrigliero Gustavo Petro è il favorito in Colombia nelle prossime elezioni del maggio 2022. Questi tre paesi sono tra i maggiori produttori di minerali strategici, oro, rame, litio, terre rare, materie prime i cui prezzi sono in costante aumento, già da prima della crisi ucraina. I governi di sinistra di Perù, Cile e Colombia – se Petro vincerà – uniranno le forze ed esproprieranno le miniere, come hanno fatto negli anni ’70? O formeranno cartelli per far salire ancora di più i prezzi delle materie prime? Oppure sono solo parole, slogan che la sinistra radicale lancia in campagna elettorale, per lasciare tutto immutato dopo le elezioni?
In Perù al momento non appaiono cambiamenti importanti. Delle altisonanti promesse non si parla più, Castillo non rilascia quasi interviste. Nei pochi mesi da quando è al potere, ha già rimpastato il suo gabinetto quattro volte liberandosi di vecchi alleati, come l’ex guerrigliero e intellettuale Héctor Béjar, costretto a dimettersi dopo soli 19 giorni perché voleva stabilire buone relazioni con il Venezuela, Cuba e la Bolivia. Castillo, all’opposto, cerca di attirare investitori stranieri con la prospettiva di condizioni allettanti.
Lo sta facendo per sua convinzione o perché la destra, che domina il Congresso, lo mette sotto pressione?
Le opinioni divergono su questo. Ma tutti i peruviani concordano sul fatto che il presidente non sembra all’altezza del suo compito. Si circonda gente della sua provincia e si barrica nella sede del governo, e non dà alcun segno di cambiamento o rinnovamento.
Il partito Perú Libre, che ha una formazione marxista-leninista, lo aveva candidato perché il suo leader Vladimir Cerrón non poteva presentarsi a causa di diversi procedimenti legali. Isolare politicamente i membri dei partiti avversi servendosi di procedimenti penali arbitrari è l’arma preferita della destra, sostengono i vertici di Perù Libre.
Da quando Juan Velasco Alvarado è stato estromesso dalla carica a metà degli anni ’70, il paese è stato dominato dai tradizionali partiti di destra. Molte delle sue riforme sociali e politiche di allora sono state rovesciate. In particolare, negli anni ’90, Alberto Fujimori si è comportato come un dittatore. Al momento sta ancora scontando una condanna a 25 anni di prigione per violazioni dei diritti umani, ma sua figlia Keiko, che ha perso per pochi voti il ballottaggio contro Castillo, ha intenzione di graziarlo.
Keiko, che non si aspettava la sconfitta del luglio scorso, sta destabilizzando il paese senza sosta, controlla il Congresso ed è sostenuta dagli imprenditori e dai media.

 

Per sei settimane, la destra populista ha bloccato la formazione del nuovo governo, accusandolo di frode nel conteggio dei voti, affermazione non suffragata da prove. Alla fine, l’ambasciatore americano si è impuntato e Castillo ha potuto prestare giuramento.
Il risultato del ballottaggio ha inizialmente terrorizzato i cosiddetti “mercati”, vale a dire il capitale finanziario internazionale. Le borse sono cadute e la moneta nazionale – il sol – ha perso massicciamente di valore rispetto al dollaro. Le aziende hanno fatto salire i prezzi alle stelle, improvvisamente il cibo costava il doppio. Anche se il tasso di cambio del sol è tornato a un livello normale, i prezzi sono rimasti alti. Chiunque visiti il Perù oggi è sorpreso dal costo della vita, rispetto ai paesi vicini. I mercati sono un po’ meno cari dei supermercati e nell’entroterra si spende un po’ meno, ma a Lima la vita è costosa, quasi inaccessibile per i lavoratori, i quali si rendono conto che per questa inflazione devono ringraziare un governo di sinistra.
D’altra parte la macroeconomia sembra prosperare, dato che i massimi beni di esportazione, i minerali, fruttavano già prezzi elevati prima della crisi ucraina.

 

I partiti di destra e i media chiedono costantemente le dimissioni del governo, o perché un ministro ha detto qualcosa di inappropriato o perché il presidente è “mentalmente inadatto al suo posto”. Poiché c’è una maggioranza di destra nel Congresso, Castillo non può semplicemente ignorare queste accuse. Nei negoziati con gli altri partiti di solito cede, cambia i suoi ministri e ritira i progetti. Non solo ha licenziato il suo compagno di partito, il ministro degli interni Avelino Guillén, che si era fatto un nome come procuratore capo nel processo contro Alberto Fujimori, ma hanno dovuto andarsene anche la prima ministra Mirtha Vázquez della sinistra liberale e il ministro dell’economia Pedro Francke. Quest’ultimo aveva avuto l’audacia di voler tassare le multinazionali, almeno un po’. Al loro posto Castillo ha nominato un cattolico ultra-conservatore come primo ministro e un neoliberista convinto come ministro delle finanze.

L’alleanza elettorale di Castillo è composta da varie correnti di sinistra, liberali e progressiste, unite su un punto: sono contrarie a Keiko Fujimori. Ma su come creare migliori condizioni di vita per la popolazione le opinioni sono molto diverse.
Le sinistre litigano tra di loro. C’è il partito Perú Libre con il suo leader Cerrón, che si batte per un Perú socialista, vuole nazionalizzare le miniere e costruire strette relazioni con Venezuela, Cuba e Bolivia. Poi ci sono anche gruppi e partiti progressisti che godono pienamente dei benefici della democrazia rappresentativa e non vogliono un cambiamento di sistema. Sono chiamati in modo dispregiativo “caviares”, mangiatori di caviale. E molti di loro hanno generosi finanziamenti dall’estero.

Rocio Silva Santiesteban, deputata del moderato Frente Amplio, a lungo presidente della Commissione dei Diritti Umani e femminista,è considerata una tipica rappresentante dei “caviares”, mentre Castillo è un bifolco conservatore, contrario al politicamente corretto, ai gay e alle donne.
Nel frattempo, il partito di governo Perù Libre non si muove. Castillo è una grande delusione, una specie di Lenin Moreno, il presidente di lunga data del vicino Ecuador che era stato il candidato della sinistra e poi ha fatto una svolta di 180 gradi. Ha cercato di stringere alleanza con la ricca élite e ha cacciato Julian Assange dalla sua ambasciata a Londra.
In Perù, il problema al momento è impedire una presa di potere da parte della destra.

L’attuale politica peruviana non si avvicina neppure alla democrazia sociale, è semplicemente una continuazione del corso neoliberista. Questo spiega perché a metà dell’anno scorso l’ambasciatore degli Stati Uniti ha improvvisamente preso posizione contro Keiko Fujimori chiedendo il riconoscimento della vittoria elettorale di Castillo, il quale sa quanto la destra peruviana sia coinvolta nel traffico di droga e si adoperi per frenare gli sforzi riformisti.
Comunque, Castillo assicura un flusso regolare di materie prime.
Certo, anche gli uomini di sinistra sono sensibili ai privilegi e alle mazzette.  Ma sono più economici e più prevedibili. E con relativamente pochi fondi, un sistema di aiuti ai poveri può tenere sotto controllo la situazione sociale del paese meglio di quanto potrebbe fare la destra.
Almeno, questa sembra essere la logica dei grandi operatori delle miniere.
Ma questa strategia ha raggiunto i suoi limiti. Il presidente Castillo e la sua alleanza elettorale, nata come alternativa di sinistra, sono già politicamente isolati dopo pochi mesi di realpolitik. Se andranno avanti così, ci saranno altre rivolte e proteste violente contro il carovita.

 

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