Natura ottima guida

di Maria Nadotti
Illustrazione di Isia Osuchowska

 

Lisbona, 23 aprile 2020
E così, d’un tratto, ci hanno decretati vecchi e vecchie, ovvero bisognosi, fragili, da tutelare come il Colosseo o l’elefante di Sumatra.
Trasformati da una parola/discrimine in categoria a rischio di estinzione, da soggetti pensanti e volitivi siamo precipitati allo status di non-persone da preservare isolandole, rinchiudendole, seppellendole vive.
Non deve essere stata una decisione semplice neanche per le corporazioni mediche, gli scienziati, gli amministratori e il personale politico che vegliano sulla salute e l’incolumità di noi cittadine/i. Tant’è che quella linea sottile che scaraventa i singoli al di qua o al di là del confine temporale decretato fluttua, si sposta, esita, s’impenna: sessantenni, sessantacinquenni, settantenni, settantacinquenni, ottantenni… paese che vai, età che trovi.

Chi e cosa mai può definire univocamente la cosiddetta condizione senile?
Ipotesi 1: l’anagrafe. Tutti i nati e le nate prima di un certo anno sono oggi, per decisione superiore, vecchi.
Ipotesi 2: il rapporto di lavoro o il reddito. Tutti e tutte coloro che il trascorrere del tempo ha fatto uscire dal mercato del lavoro attraverso la nobile istituzione della Pensione sono vecchi. E, per assonanza, sono vecchi anche tutte e tutti coloro che un lavoro pagato o riconosciuto non lo hanno mai avuto e dunque la Pensione non ce l’hanno, ma l’età per avercela sì.
Ipotesi 3: l’incapacità obiettiva di badare a se stessi. Ma qui il discorso si fa spinoso, perché bisognerebbe parlare di denaro, indipendenza economica, ruoli familiari et al.
Cerchiamo dunque di andare più per il sottile e di capire se la categoria unitaria “Vecchi” dia conto del mondo reale e serva a qualcosa che non sia puro e stolto controllo sociale e presunta riduzione del danno.
Intanto esistono le donne e gli uomini, che – come si sa – non vivono, e perciò non invecchiano, nello stesso modo.
Rispetto all’Ipotesi 1 vanno tutti e tutte nello stesso mucchio, ma già l’Ipotesi 2 complica parecchio il quadro. Quante donne hanno pensioni da lavoro? Quante donne hanno svolto un secondo lavoro riconosciuto, oltre a quello “d’amore” regolarmente non pagato all’interno del matrimonio, della famiglia, della maternità?
Se poi pensiamo all’Ipotesi 3, viene quasi da ridere. Ricordate il film Un giorno senza messicani, diretto nel 2004 da Sergio Arau? Be’, un giorno la California si svegliava avvolta in una fitta nebbia e si accorgeva che nulla più funzionava, perché i messicani – l’invisibile, malpagata, umile mano d’opera priva di diritti – erano spariti. E badare a se stessi, non solo sul piano materiale, non è cosa che s’impari da un giorno all’altro.
E qui ci agganciamo serenamente all’altro grande spartiacque, quello che le cosiddette sinistre hanno smesso di chiamare classe. Infatti tutti i vecchi sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri. È questione di potere d’acquisto, ovvero di collocazione sociale, ma anche di coscienza politica, ovvero di coscienza di sé nel mondo. C’è chi non vede l’ora di essere tutelato e chi rabbrividisce solo a sentir nominare quel concettino che tanto danno ha fatto soprattutto alle tutelate del mondo, presumibilmente incapaci di tutelarsi da sé o meglio non abilitate a badare a se stesse, prive del diritto di habeas corpus, perché il corpo femminile è per definizione corpo pubblico e astratto da governare, sul quale legiferare, un bene comune la cui gestione può al più essere delegata al sempre più patetico e bisognoso pater familias.
Un vecchio che ha bisogno di una vecchia per non morire di fame, di sporcizia, di depressione, per sentirsi, almeno nel privato, ancora un po’ autorevole. Oppure una vecchia che cala il cestino dalla finestra, perché qualche giovane volontario lo riempia di generi alimentari e farmaci di prima necessità. Tutti ugualmente inebetiti davanti alla grancassa terroristica della televisione e – i meno vecchi o i più moderni – al brusio estenuante dei media sociali. È questo che stanno approntando gli stati che si dicono democratici, invitando o obbligando gli ultra XXX a rimanere “per sicurezza” chiusi in casa? Se sì, la loro capacità d’invenzione rispetto alle consuetudini del nucleo familiare tipo è pari a uno 0 tondo tondo.

E dunque la qui sottoscritta, classe 1949, invita non solo i suoi coetanei, ma i tanti giovani amici e amiche pensanti e non troppo istupiditi dalla paura, dalla stupefazione e dalla noia inoculateci da mesi, i bambini e le bambine che hanno diritto al loro corpo e non solo alla cultura virtuale, a ideare forme creative e collettive di disobbedienza civile, che ci permettano di godere in comune anche della propria e altrui “vecchiaia”.
Se, come diceva Susan Sontag, ciò che ci rende mortali è proprio il fatto di essere venuti al mondo, vorrei che insieme decidessimo quali rischi siamo disposti a correre in cambio di cosa. La vita eterna non è, per fortuna, cosa di questa terra. La qualità della vita è invece un fatto molto concreto, per il quale vale la pena di lottare, mai da soli, mai con i più forti.
A presto, nelle strade e nelle piazze, nei luoghi dove pensare insieme, senza nessuna nostalgia per quei falsi luoghi di aggregazione (da gregge) che, ben prima d’ora, escludevano i “vecchi” e rincretinivano i “giovani”.

 

 

Postilla

Roma, 4 novembre 2020
Siamo a un passo da un nuovo confinamento generalizzato. L’Italia è da oggi divisa formalmente in zone rosse (si salvi chi può!), arancioni (massima allerta) e verdi (boh!). Da giorni il tema della terza età – stavolta l’asticella è stata fissata ai settant’anni – è stato imbandito un giorno sì e un giorno sì sulle nostre tavole. Variamente decretati improduttivi, superflui, un peso morto economico e strutturale, gli over settanta (ma perché, mi faceva notare ieri la mia sveglissima nipote decenne, una parola in inglese e una in italiano?) sono stati tosto riabilitati dal nostro primo ministro per la buona ragione che, grazie a loro e alla loro laboriosità, il paese – da povero e distrutto che era – sarebbe approdato al fasto del Gruppo dei Sette, familiarmente detto G7. Gratitudine dunque – Conte dixit – e rispetto dei fatti: la loro (spesso presunta) improduttività attuale, premiata (non sempre) dall’istituto della pensione, gli anziani se la sono guadagnata producendo.
Non vi sembra un gioco di parole, un circolo vizioso, un cadere dalla padella nella brace? Avere diritto alla vita solo perché la si è spesa lavorando. E gli altri e le altre? D’accordo che la nostra è una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, ma è anche vero che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ops, leggendo e rileggendo quest’ultimo articolo, il numero 3, mi accorgo che di età non si parla proprio, o perlomeno non in modo esplicito. A meno che quelle “condizioni personali e sociali” non alludano proprio alla vecchiaia e alle sue morte gore. Punto.
Ieri, 3 novembre 2020, mentre negli USA si decidevano le sorti presidenziali (in lizza Donald Trump, classe 1946, e Joe Biden, classe 1942), sulle pagine della nostra “Repubblica” nazionale è apparsa una delle solite partitine di tennis che piacciono tanto alle redazioni nostrane. Due ‘vecchi’, la sociologa Chiara Saraceno (1941) e il critico letterario Alberto Asor Rosa (1933), sono invitati a dire la loro sulla necessità di starsene chiusi in casa, per il proprio bene e per il bene del paese e dei giovani.
Lei aderisce in pieno al copione materno-sacrificale: facciamoci in là, non infliggiamo a giovani e bambini l’orrore del confinamento. Il nostro egoismo (può anche essere chiamata così la vis vitale che muove il mondo) non deve prevalere. Autosegreghiamoci. Preserviamo la nostra e l’altrui vita.
Lui esplode e dice una cosa ovvia: rinchiuso in casa, dipendente dagli aiuti esterni per ciò che riguarda i generi di prima necessità, isolato, qualsiasi individuo – e a maggior ragione un anziano – sballa, si disconnette e si spegne.

Morale: che ognuna e ognuno di noi decida da e per sé. Senza dimenticare che, imbrigliato dalla paura e dallo smarrimento, è il desiderio a spegnersi. E senza desiderio, che è immaginazione del cambiamento, voglia di pensare e fare, fiducia nelle proprie non solitarie forze, atto di speranza, il mondo non gira e la vita individuale si riduce a mera sopravvivenza. È a questo che siamo tanto attaccate?

 

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