Lo stretto necessario

di bulander
Illustrazioni di Federico Zenoni

 

Milano 2034. L’epidemia di coronavirus che era apparsa per la prima volta nel 2020 aveva continuato a flagellare il mondo occidentale. Per fortuna non aveva investito con la stessa violenza l’Africa, e gli italiani ricchi avevano cominciato ad acquistare capanne e a trasformarle in seconde case in Congo, in Gabon, in Costa d’Avorio, in Somalia e via dicendo.
Il virus mutava continuamente, appena trovato un vaccino lui cambiava, era proprio dispettoso. I morti in realtà non erano tanti, in Italia circa 80/100 mila all’anno, di cui la metà in Lombardia, ma il problema era l’economia. Costretti a chiusure e riaperture continue, fabbriche e negozi andavano in fallimento uno dopo l’altro e la disoccupazione dilagava. Ma il problema delle pensioni era diventato meno drammatico. I progressi della medicina avevano fatto sì che morissero solo persone dai 70 anni in su.
Fernanda Osetti aveva sposato un manager della Vodafone. Erano stati tra i primi ad adocchiare quel villaggio sulla strada tra Mouila e Ndendé, nel Gabon, messo in vendita da un capovillaggio molto intraprendente. Affare fatto, avevano sgomberato gli ultimi abitanti e trasformato l’abitato in una serie di graziosi bungalow. Poi il manager s’era innamorato di una francese di Médecins sans Frontières e la Fernanda era rimasta a Milano, disoccupata e con la mamma in casa, che per fortuna aveva una piccola pensione. La sua amica Salutina, disoccupata pure lei, divorziata senza figli, invece doveva pensare solo a se stessa: i suoi genitori erano morti una di coronavirus nel 2028 e il padre…
Erano povere, sulla quarantina, ancora abbastanza piacenti e cercavano di mantenersi bene. “Ho trovato un nail design che ti fa lo sconto se fai mani e piedi, pensa è proprio dietro la mensa della Caritas, comodo no? Finisco in mensa verso le 14,30/15,00 – sai, preferisco andare al secondo turno perché fanno cucina vegana – e vado direttamente da loro perché a quell’ora c’è meno gente.”
“E le unghie come te le fanno?”
“Ah, adesso dicono che verranno di moda i geroglifici egiziani, sul pollice del piede mi hanno disegnato la dea Anubi, sai quella con la testa di cane.”
“Beh” – risponde Salutina – “ieri mentre ero in coda per i buoni per acquistare sapone, carta igienica e shampoo, sentivo una che era vicino a me che diceva che i nail designer portano i soldi in Svizzera. E a noi ci tolgono anche un minimo di protezione. Hai sentito la storia della Robetti, quella del negozio di erboristeria? Ti ricordi che aveva tutti quei piercing, no? Gli anelli al naso, sulle labbra, le stavano bene… beh, quello sul naso si è infettato, è andata al pronto soccorso e cosa scopre? Che la mutua non ti paga le infezioni da piercing!”
“Nooooo, pazzesco. Eh sì, finirà che non potrò più farmi il tattoo, se va avanti così neanche il parrucchiere… ho esaurito i buoni di marzo, vedessi come ho i capelli, mi vergogno ad andare in giro. Adesso poi che mi è aumentato il colesterolo a furia di andare a mangiare alla mensa della Caritas. Sai, io non sono vegana come te”.
“E tua madre, come sta? Si decide a morire o no?”
“Ah quella è sanissima. Però sai, magari mi vien bene averla viva. Dicono che l’anno prossimo le elezioni le vince il Partito del Popolino e loro hanno promesso di fare la legge per l’assegno familiare a chi ha in casa un genitore oltre i 70.”
“Te lo auguro cara, io non posso contare su questo. I miei non solo sono morti ma mi hanno lasciato un sacco di grane morendo, pensa a mio padre, quel disgraziato.”
“Beh, cosa ti ha fatto?”
“Come cosa mi ha fatto? Si è buttato sotto un treno, il macchinista ha tentato di frenare, ha bloccato, un sacco di viaggiatori sono finiti per terra e si sono fatti male, le Ferrovie dello Stato hanno dovuto pagare i danni e volevano rivalersi su di me. Per fortuna che sono nullatenente e che l’affitto me lo paga il Comune. Poi con i buoni, con la mensa… sopravvivo. Del sussidio che mi dà lo stato mi avanza giusto per una messa in piega… ma sono due anni che non vado in un ristorante.”
“Ah già, adesso mi ricordo che tu mi raccontavi… poi c’era stata la storia dell’autopsia, no?”
“Guarda, se ci penso mi viene ancora una rabbia. Avevo giusto trovato l’appuntamento al tattoo, un buco di un’ora perché un cliente aveva disdetto, sono lì tutta bella tranquilla, arriva la telefonata dall’obitorio che dovevo assistere all’autopsia del cadavere di mio padre, perché l’assicurazione, perché qua, perché là… Ho detto, ho pregato, ho urlato, niente da fare: alle due in punto, proprio quando avevo l’appuntamento ho dovuto disdire il tatuaggio, mi sarei uccisa.”
“Che poi deve fare impressione, no? Li aprono, li squartano, gli tirano fuori gli organi interni.”
“Sìììììì, un lavoro che non ti dico. L’intestino, sapessi com’è lungo l’intestino, non avrei mai immaginato, per fortuna che a un certo punto la Potenza, te la ricordi, quella con il figlio paracadutista, mi ha chiamato per dirmi che aveva un vestito che era diventato stretto per lei e mi sono messa a chattare con lei mentre quelli lo chiudevano e lo ricucivano dopo avergli rimesso dentro tutto. Mi hanno fatto firmare una carta e ciao.”
“Si diventa un po’ cinici, però eh? Questo virus ci ha ridotti tutti un po’ dei Frankenstein”.
“Sì, ma almeno noi abbiamo le unghie in ordine e un po’ di fantasia tatuata sul corpo. Hai mai visto il dragone che ho sul culo?”

 

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