Giovedì sera – venerdì mattina. Ho riscritto questi appunti non so quante volte, eppure per ora la Pennsylvania è ancora in sospeso, anche se Joe e Kamala sono in testa, e pian piano salgono sempre più. Trump è già paonazzo, spara propaganda e minacce e fa campagna elettorale dall’interno della Casa Bianca, incita alla violenza chiamando i suoi scagnozzi, oltre a lanciare cause legali, richieste di riconteggi, tweet e ordini (del tutto illegali) di fermare il conteggio dei voti. Tutte le reti, a eccezione di FoxNews, lo hanno tagliato dichiarando formalmente che le sue menzogne e la sua diffamazione del processo elettorale rendono loro impossibile riportare il suo discorso – è una novità assoluta. Mi rifiuto di sprecare altro tempo con lui – se non per sottolineare che con la sua sconfitta sarà solo la quarta volta negli ultimi 90 anni che un capo del governo non è stato rieletto, e la decima in tutta la storia della Repubblica. Inoltre, anche se Mitch McConnell è stato velocissimo nel confermare l’azione giudiziaria, ciò che resta della nostra magistratura originaria ha appena deciso che le furiose cause legali di Trump sul conteggio dei voti di Michigan e Georgia sono illegittime.
Biden ha ricevuto più voti popolari di qualsiasi altro candidato nella storia degli Stati Uniti. (A proposito, i democratici hanno vinto il voto popolare in sette delle ultime otto elezioni presidenziali. Hmmmmm, cosa ci dice questo?)
E poi, Aha! C’è il divario di genere. Finora è sulla buona strada per battere il record nella storia americana. Anche considerando il dibattito su chi può ripristinare l’economia quando/se sopravviveremo alla pandemia, donne e uomini vivono l’economia in modo diverso, e le donne sono molto più scettiche degli uomini sul fatto che l’economia sia in gran forma solo perché lo è il mercato azionario. Anche durante la ripresa seguita alla crisi finanziaria del 2008-09, le donne percepivano l’economia come debole, mentre gli uomini la vedevano in modo decisamente positivo. Inoltre, le donne non considerano l’economia come il problema principale di queste elezioni e quando lo fanno, dicono che Biden è il più adatto a prendersene cura. Per le donne, e la cosa non stupisce, la sopravvivenza e la salute, soprattutto in una pandemia, sono più importanti dell’economia, e le due cose non sono necessariamente separate. Nel 2016, Trump è stato votato solo dal 40 per cento delle donne – che secondo me è ancora troppo ma rappresenta pur sempre un divario di 11 punti tra i sessi che fa il paio con quello di Bill Clinton nella sua rielezione del 1996. Questo divario era dovuto soprattutto alle donne nere, perché molte bianche, follemente combattute su Hillary, hanno finito per votare per Trump. Questo non sta accadendo ora, quindi il gender gap questa volta promette di essere ancora più pronunciato.
Ora c’è Biden in TV, che esorta alla pazienza. Ok, ok, ok, non è una marea, e allora? Una vittoria è una vittoria è una vittoria, per parafrasare Gertrude Stein. Ricordatevi di respirare, santo cielo, non è la fine del mondo – beh, in realtà potrebbe, visto il cambiamento climatico, se Trump rimane al potere e McConnell ha mano libera – comunque no, non è ancora la fine del mondo.
Venerdì sera-sabato mattina. Sto su fino alle due. Poi mi sveglio alle tre, alle 4:30, alle 5:30, e finalmente alle sette mi arrendo e mi alzo. Sembro una pazza, barcollo in giro. Non oso mangiare di più, il solo pensiero del cibo mi rivolta. Non riesco a dormire, sono troppo agitata. In giardino c’è il solito coro di cinguettii, ma stamattina non mi dà serenità e piacere come sempre, anzi lo trovo irritante – non si rendono conto della gravità della situazione, quei dannati uccelli? Voglio dire, so che è una follia, ma metti che i notiziari annuncino la vittoria e io non sia lì. (È chiaro che semplicemente non possono annunciare la vittoria di Biden-Harris senza la mia presenza o l’intero sistema crollerebbe).
Ora, finalmente, ci siamo. Questa Repubblica ha un nuovo presidente eletto.
Questa Repubblica ha la sua prima vice presidente donna eletta.
La sua prima vicepresidente nera americana eletta.
La sua prima vicepresidente sudasiatica americana eletta.
Questa Repubblica ha la sua prima vice presidente donna, nera, sudasiatica americana eletta.
Comincio a piangere e non riesco a smettere. Sono stati quattro anni di shock e di disgusto, di madri che cercano disperatamente i loro figli in gabbia al confine, di uomini neri assassinati, di aria e acqua e discorsi avvelenati, di donne che perdono rapidamente il loro diritto umano fondamentale alla libertà riproduttiva, di sognatori incapaci di dormire; anni di vigliaccheria e di colpevolezza, di anziani che muoiono da soli senza la presenza di un familiare, di dittatori accolti con tutti gli onori e di leader democratici respinti, di crudeltà e sadismo fini a se stessi, di un pianeta reso sempre più malato, quattro anni di deriva verso la distruzione. Piango e piango. Tutto il corpo mi fa male, come se fosse stato mantenuto in una tensione estrema per quattro anni e ora l’allentarsi di un po’ di quella tensione rilasciasse ondate di dolore lungo le articolazioni e i tendini e i muscoli. Amici chiamano da tutto il mondo, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
La gente si riversa per le strade di tutto il paese, anzi di tutto il mondo, piena di sollievo e di giubilo. Sbattono pentole e padelle, cantano e ballano, suonano il clacson dell’auto, fischietti e campanelli. Non c’è mai stata una così spontanea esplosione di festa.
Non riesco ancora a pensare abbastanza chiaramente per seguire i fili verso cui conduce questa vittoria. So per certo che legittima Barack Hussein Obama e la sua amministrazione. So che legittima retrospettivamente la campagna elettorale spezzata di Hillary Rodham Clinton. So che invia un messaggio forte al Senato, anche se il Senato rimane nelle mani dei repubblicani. Credo che invii un messaggio forte alla Corte.
Sono ossessionata dalla Georgia e dal ballottaggio di gennaio e dalla riconquista del Senato anche con un margine molto ristretto. Sono ossessionata da quei volontari dello spoglio dei voti che hanno continuato a contare anche se tremavano di paura per le folle trumpiane che gridavano “Fermate il conteggio!” da dietro le porte.
Sono ossessionata da Kamala Devi Harris, che si è vestita di un bianco splendente – il colore del suffragio femminile – per i discorsi di accettazione, Kamala Devi Harris che ha nominato tutte le donne come sue antenate: nere e sudasiatiche e latino-americane e native americane e bianche e disabili e vecchie e giovani; Kamala Devi Harris, che ha detto che, sebbene sia la prima a ricoprire questo incarico, non sarà l’ultima.
C’è una quantità enorme di lavoro da fare, nei prossimi tre mesi particolarmente pericolosi, e in seguito, per anni, anche solo per tornare al punto in cui eravamo quando è iniziato questo lungo incubo nazionale. Ma ora non è solo possibile, è inevitabile.
Nel luglio del 2017, dopo i primi sei mesi dell’inferno trumpiano, ho scritto:
“Verrà un giorno, ve lo prometto, ve lo affermo, ve lo giuro, verrà un giorno in cui questa repubblica si rialzerà, riaprendo lentamente gli occhi, stordita, intontita, dolorante, con un mal di testa micidiale, un po’ di vertigini e nausea incombente; si siederà sul bordo di un metaforico letto con l’allegorica testa nelle simboliche mani, e borbotterà: “Che diavolo è successo?” La nostra nazione soffrirà di sintomi disparati, tra i postumi di sbornia, la sindrome di Stoccolma in via di guarigione e il trauma dei sopravvissuti. Succederà quando il regime già in caduta libera di Donald Trump verrà totalmente smascherato.”
Oh sì, ci saranno ostruzioni e ritardi, mendacia e avidità, confusione e rabbia. Oh no, Trump e i suoi seguaci non torneranno a scomparire nell’oscurità da cui sono venuti.
Ma il popolo ha parlato. Il processo ha tenuto.
Lasciate che le campane risuonino: Iubilatio in Excelsis!
Gioiosa Settimana delle elezioni, sorelle e amici.