Iubilatio in Excelsis

di Robin Morgan
Vignetta di Liza Donnelly
Traduzione di Margherita Giacobino

 

Che tentazione di saltare subito al finale o semplicemente di postare una foto di quello-che-non- nomino scornato, con la scritta in maiuscolo: SEI LICENZIATO!

Che tentazione di gridare KAMALA DEVI HARRIS dal tetto.

Ma è rivelatore ricordare il processo. Questo è stato il processo.

È mercoledì, il 4 novembre, all’alba. Scriverò in tempo reale, per tappe, aggiungendo le notizie man mano che arrivano, almeno fino al momento in cui non chiuderò il resoconto. Non ho idea di quanto tempo ci vorrà. Settimane? Un mese? Che sofferenza.

Questo nessuno di noi se l’aspettava.

Quello che dobbiamo tenere a mente:

1) Abbiamo detto a tutti di avere pazienza, abbiamo avvertito tutti che ci sarebbero voluti giorni o molto di più. Diamo retta ai nostri stessi consigli.

2) Lo strettissimo margine di voto in alcuni luoghi – in Georgia per esempio – dimostra la perseveranza di quegli elettori che sono rimasti in coda per ore insistendo sul loro diritto di voto.

3) Santo cielo, pensate a come ci sentiremmo se Trump fosse già stato dichiarato vincitore.

OK, cominciamo con i numeri. No, non i numeri dei sondaggi o le percentuali di voto. Questi numeri: fino a oggi, giorno delle elezioni, 108.000 persone al giorno hanno contratto il coronavirus, e abbiamo subito più di 230.000 morti. Che qualsiasi cittadino abbia potuto votare per Donald Trump di fronte a tutti questi morti è stupefacente.

Devo scrivere onestamente che la notte delle elezioni di quest’anno è risultata un colpo piuttosto pesante. (Mettiamoci pure tutte le puntualizzazioni di cui sopra – la pazienza e il fatto che Biden quasi certamente riuscirà a vincere). Intellettualmente, tutto questo lo so, ma quel che sento è un’altra cosa. Quello che mi fa vacillare è la mia reazione alla marcata differenza tra la prevista “marea dell’onda blu”, la prevista vittoria della sanità mentale, e la realtà che non c’è stata nessuna marea. E vacillo anche sotto il peso della perdita quasi certa del Senato, che significherà altri quattro anni della stessa musica: le nomine di Mitch McConnell alle cariche della magistrature, una faticaccia per ottenere ogni minima cosa, e la morsa della protervia.

La notte delle elezioni ha un effetto scatenante, risveglia i miei disordini post-traumatici del 2016, con Hillary. Dov’erano i dannati sondaggi? Come hanno potuto essere così sbagliati? Ma da che pianeta arrivano questi elettori di Trump? Prossima a una crisi di nervi, mi sono imbattutain cosa? una fame di giustizia? la brama di un governo ragionevole? o era solo il fantasma di mia madre, che andava in giro gridando “Il cibo è amore” e “L’amore è cibo”, e be’, insomma… ho mangiato. Tutta la notte. Non necessariamente in quest’ordine: cibo cinese, biscotti al burro di arachidi (fatti in casa), fegatini di pollo tritati e cracker, lamponi neri, crema di spinaci in busta, biscotti con gocce di cioccolato (fatti in casa), mezza pera, mezza mela, due pezzi di baklava, una ciotola di popcorn, patatine, uva, cinque sottaceti all’aneto e una ciotola di cereali e uvetta. Dopo questo assalto al mio sistema, unito all’accumulo di notizie, ho vomitato.

Mercoledì sera, dopo un breve pisolino pomeridiano (visto che sono stata sveglia tutta la notte). Va un po’ meglio. Abbastanza da chiamare alcuni amici e offrire conforto, rilasciando così ossitocina nel mio flusso sanguigno – la sostanza chimica “della cura e dell’amicizia” che è altruista e rafforzante allo stesso tempo. Ottima. Tuttavia, ho ancora flashback genere Hillary Rodham Clinton. Come farà Biden a governare o approvare una qualsiasi legge se il Senato è ancora nelle grinfie di McConnell? Questo trasformerà Biden in un presidente accomodante che svenderà i nostri diritti, tra la rabbia e la frustrazione dei progressisti? Riso bianco e brodo aiutano. E si va avanti.

Giovedì. So che ci vuole pazienza. Autodisciplina. Penso alle parole di Adrienne Rich “una selvaggia pazienza mi ha portata fin qui”. Ma la pazienza non scende fino al livello delle mie emozioni, dove risuona assordante tutta la gamma che va dall’ansia al panico. Tra i seggi persi alla Camera dei Rappresentanti c’era quello della mia vecchia amica, la deputata della Florida, Donna Shalala. La Pennsylvania è ancora lì sospesa. Non è stato James Carville che una volta ha detto scherzosamente che la Pennsylvania era composta da Philadelphia e Pittsburgh, con l’Alabama nel mezzo? Trump non può farcela a vincere nel collegio elettorale senza la Pennsylvania, ma Biden-Harris sì.

Oh mio Dio ma c’è la Georgia! Georgia on my mind! Stacey Abrams dovrebbe essere incoronata regina del mondo. La Georgia è così vicina che potrebbe, ancora in questa fase avanzata, influenzare l’equilibrio in Senato, dato che non ha una ma due corse al Senato in pieno svolgimento! (Per le elezioni del ballottaggio ci vorrà del tempo – probabilmente non prima di gennaio.) Ma nel frattempo, il Washington Post riferisce che più di 150.000 schede sono rimaste bloccate negli impianti di elaborazione del servizio postale statunitense e non consegnate entro il giorno delle elezioni, di cui più di 12.000 in cinque degli Stati che non hanno ancora chiuso i risultati. Io oscillo tra euforia e cadute a picco.

Biden ha ricevuto più voti popolari di qualsiasi altro candidato nella storia degli Stati Uniti. (A proposito, i democratici hanno vinto il voto popolare in sette delle ultime otto elezioni presidenziali. Hmmmmm, cosa ci dice questo?)
riconquista del Senato anche con un margine molto ristretto. Sono ossessionata da quei volontari dello spoglio dei voti che hanno continuato a contare anche se tremavano di paura per le folle trumpiane che gridavano “Fermate il conteggio!” da dietro le porte.
Sono ossessionata da Kamala Devi Harris, che si è vestita di un bianco.

L’articolo è uscito il 9 novembre 2020 sul blog di Robin Morgan
La vignetta di Liza Donnelly è stata pubblicata da The Newyorker Magazine nel 2008

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