Irredentisti

di bulander
Illustrazione di Federico Zenoni

Il monumento a Salvini in piazza della Scala aveva urgente bisogno di restauri. Il sindaco Bregan Dorengichi, albanese di terza generazione – venuto su dalla Calabria quando l’Italia l’aveva ceduta alla Libia del generale Haffan ben Haffin – aveva pochi soldi. Quei pochi avrebbe preferito spenderli per il Mausoleo dedicato all’eroe della resistenza calabrese contro i libici, professor Ko al-kain, di origini arabe non ben definite ma i cui antenati si erano installati a Catanzaro quando il Cagliari aveva vinto il campionato di serie A. Per questo Ko al-kain parlava un calabrese con forte accento sardo. Si era imboscato nelle foreste della Sila ed aveva tenuto a lungo in scacco i libici coi suoi attacchi cibernetici. Aveva abbattuto decine di caccia Mirage.
Lo scovò per caso nel suo nascondiglio un drone della Forestale libica che monitorava gli spostamenti dell’ultima coppia di linci silane. Fu catturato, processato e giustiziato. Il governo italiano avrebbe voluto riscattarne la salma ma i libici avevano sparato una cifra esorbitante. Milano allora era piena di fuoriusciti calabresi che sognavano di liberare la loro terra dalla dominazione libica, s’erano organizzati in un movimento irredentista assai turbolento. La statua di Salvini era ricoperta di scritte “Venduto! Traditore della patria!”. Infatti era stato il suo governo a cedere alla Libia la Calabria in cambio della promessa che non avrebbero più fatto partire i barconi dei migranti.


Palazzo Marino, studio del sindaco.
“Bregan, qua la situazione diventa critica, rischia di andare fuori controllo con tutti questi fuoriusciti.”
Il sindaco, pensoso, non rispondeva.
“Perdipiù circola la voce che sei tu a sobillarli, questi calabresi.”
Bregan Dorengichi, corrucciato, non rispondeva.
“Almeno i piemontesi sono più riflessivi, se hanno qualcosa da dire fanno una petizione, chiedono un’udienza. Poi sono gentili, educati, arrivano sempre coi cioccolatini”.
Già, forse ci eravamo dimenticati di dire che Salvini, diventato Presidente della Repubblica e trasformata l’Italia, grazie a un Parlamento di pecoroni, in una repubblica presidenziale, aveva ceduto il Piemonte alla Francia per la storia della Torino-Lione. Detta in breve: cacciati i pentastellati dal governo, dal Parlamento e poi dalla stessa politica, ficcato in galera Grillo assieme a Di Maio, Toninelli e soci, l’Italia aveva potuto finalmente riprendere i lavori per la costruzione del tunnel di base ma s’era accorta di non avere più imprese capaci di portarli a termine. Tutte fallite, in bancarotta, che non pagavano gli stipendi da mesi, tanto che i loro operai e tecnici avevano cominciato a solidarizzare coi No Tav. Per cui Salvini, ormai vicino agli 80 e un po’ rincoglionito, era andato dalla Le Pen che compiva il suo quarto mandato presidenziale e le aveva detto: “Senti Marina, fatelo voi ‘sto tunnel, tutto. Pagheremo a rate la nostra quota”. E quella: “Pagare, voi? Ma se non avete una lira! Tu dammi il Piemonte e poi se ne può discutere”. “Eh la peppa, come sei esosa! Non eravamo amici? Se torno a Milano senza il Piemonte mi linciano”. Tornava a Milano, sede del governo.
Già, ci eravamo dimenticati di dire che la capitale d’Italia era diventata Milano dopo che Salvini aveva ceduto Roma al Vaticano in cambio del complotto per uccidere il Papa buonista, complotto ordito dal cardinale N’bugga, nativo del Ghana ma cresciuto in Russia. Era stata una cosa un po’ brutale ma era valsa la pena: adesso sul soglio pontificio sedeva quell’Alessandro III, nipote di N’bugga, che non vedeva l’ora di fare una crociata contro l’Islam. Ed è qui – guarda che roba – che s’inserisce la complicazione della politica, i machiavellismi, i tradimenti… Perché?
Perché i fuoriusciti piemontesi, che preferivano agire nell’ombra, astuti come Cavour, erano andati dal Papa e gli avevano detto: “Ok Alex, noi ti diamo una mano per la crociata ma tu ci aiuti a riconquistare il Piemonte”. Affare appena concluso, avevano fatto la seconda mossa: erano andati dai fuoriusciti calabresi e avevano detto: “Ci state a mettervi con noi e col Vaticano? Mettiamo che riusciate a prendere solo Cosenza, installate subito un governo provvisorio, il Vaticano vi riconosce, diventate membri dell’Onu ed a ‘sto punto Haffan ben Haffin è spacciato. La guerra si fa con i mezzi diplomatici, mica con i mezzi militari, fiolòt! Aggi capiti?” La delegazione calabrese era un po’ perplessa, ma quando i piemontesi misero sul tavolo le riserve auree di Intesa San Paolo, ogni loro dubbio fu fugato.
Quando i fuoriusciti romani seppero di esser stati fregati… apriti cielo! Cominciò la caccia al piemontese per le vie di Milano, negozi saccheggiati, case bruciate… i calabresi dal canto loro non potevano stare alla finestra, scesero in piazza a dar manforte agli alleati. E alla fine tutti se la prendevano con il Salvini di pietra, tutti lì con le bombolette spray a insozzare la statua con le scritte più oscene, tutti a portare i cani a far… povere bestie, hanno diritto anche loro.
Per questo il monumento a Salvini in piazza della Scala aveva urgente bisogno di restauri.

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