Il secondo livello

di bulander
Illustrazioni di Isia Osuchowska

 

Ormai nelle grandi città nessuno andava più a piedi. Roller, skate, pattini, monopattini, biciclette… da quando la ditta Fico’s&West aveva introdotto la batteria autoalimentante per le carrozzine dei bambini, l’intera mobilità urbana poteva fare a meno delle scarpe. Quanto alle sedie a rotelle dei disabili, quelle erano motorizzate da decenni. In cambio erano stati aboliti tram, autobus e qualunque altro mezzo pubblico di superficie. Solo metropolitane, che avevano ridotto il sottosuolo delle grandi città a un inestricabile intreccio di tunnel, una specie di colossale gruviera. E naturalmente erano stati soppressi, con ordinanza dei sindaci, i marciapiedi. Le auto, i furgoni, i tassì, ça va sans dire, erano stati interdetti già da tempo per ragioni di sostenibilità e di CO2.
Si sarebbe detto quindi che il traffico dovesse scorrere meglio, essere assai più fluido. Manco per sogno. Pochissimi di questi mezzi di spostamento erano di proprietà privata. Erano tutti di società di sharing, appena usati per un percorso venivano abbandonati dagli utenti, i quali (eravamo nel 2046) ormai non avevano più alcuna educazione civica e quindi li mollavano in mezzo alla strada, dove capitava. Le collisioni tra cittadini in mobilità meccanica e mezzi in sharing abbandonati erano frequentissime, con seguito di parolacce e maledizioni contro ignoti ma anche con feriti e contusi.
Il tutto con grande divertimento e sollazzo del second level urban traffic.
E cos’era questo second level? Erano quelli – all’inizio solo pochi privilegiati, poi diventati sempre più numerosi – che si muovevano attaccati a un drone. Penzolavano così a mezz’aria, a un’altezza che stava tra i 2,50 m e i 3 m, attaccati al drone-pilota con un cavo che terminava in una banalissima maniglia, simile a quelle delle metropolitane e dei tram di una volta (quando l’altoparlante gracchiava: “reggetevi ai sostegni! hold on ecc.”). E formavano in tal modo un secondo strato di mobilità, situato più o meno al primo piano delle case. La tassa di circolazione per questo second level era salatissima, ma poiché girare attaccato a un drone come un salame cominciava a diventare simbolo di status, c’era gente che s’indebitava, che contraeva debiti con le banche, che rubava la pensione alla nonna, pur di riuscire a pagare la tassa e di poter scorrazzare a mezz’aria guardando con disprezzo l’umanità che si accalcava di sotto, al first level.

 

Astianatte Del Bobo, di nobile famiglia senese, aveva lasciato il castello avito nel Chianti e si era trasferito a Milano per fare da consulente al primo cittadino, Kyril Zakayevs, ceceno, il cui padre – si diceva – aveva combattuto in Ucraina nel 2022.
Interpellato su come affrontare certe criticità del modello di traffico che si era andato instaurando, Astianatte del Bobo non aveva esitato, da buon senese, a proporre un’altra variabile della mobilità senza scarpe: il cavallo. Il ceceno, manco a dirlo, fu entusiasta dell’idea e in men che non si dica fece sgomberare il Palazzo delle Stelline per adibirlo a stalle per cavalli. Ma a quel punto si presentò il solito problema: i mezzi di trasporto – in questo caso i nobili quadrupedi con la criniera – dovevano essere di proprietà privata o affidati alla gestione di una società di sharing? Per l’aristocratico Del Bobo era impensabile condividere un cavallo, Zakayevs invece, mezzo oligarca ma venuto su dal nulla, populista di natura, il cavallo doveva essere alla portata di tutti. E così nacque l’app per usare un cavallo in condivisione. Tassa di circolazione annuale: 6.000 euro, pagabili a rate.
Sembrava un successo, per alcune settimane tutta la città era eccitata all’idea che Milano credeva di poter tornare ai bei tempi del Rinascimento, quando l‘élite caracollava su splendidi destrieri dai preziosi, artistici finimenti, immortalati dai grandi pittori dell’epoca. Ma durò poco. A parte quelli che non sapevano cavalcare e magari venivano disarcionati, a parte le strade ricoperte di sterco su cui roller e skate scivolavano facendo perdere il controllo all’utente, il punto era che i cavalli, finito il percorso necessario, venivano abbandonati in mezzo alla strada, come le biciclette. E le povere bestie non capivano perché quel cretino che li aveva montati era sceso ed era sparito. E allora girovagavano alla cieca creando ulteriore scompiglio al traffico già così provato dai senza scarpe.
Il contratto di consulenza del nostro Astianatte fu rescisso unilateralmente, lui la prese come un’offesa e si ritirò sdegnoso nel suo castello del Chianti dopo aver dato mandato al suo avvocato di fare ricorso al tribunale del lavoro. Tre giorni dopo, per consolarsi, caricò sul suo SUV moglie e figli perché voleva far vedere al più piccino il quadro del Pinturicchio conservato nell’abbazia… diamine il nome mi sfugge (NdB), dove un suo avo era stato ritratto ed era riconoscibile in mezzo a tante altre figure di un corteo o di una processione.
Ma quale fu il suo stupore nello scorgere, avvicinandosi alla tela il più possibile, che dietro al mantello indossato dal suo avo spuntava… un monopattino.

 

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