Fascismo tropicale

Intervista a Claudileia Lemes Dias

di Margherita Giacobino
Illustrazione di Marilena Nardi

Claudileia Lemes Dias è nata a Rio Brilhante, Brasile, e vive in Italia da molti anni. Dopo la sua prima laurea in legge, ha conseguito un master in Mediazione familiare e tutela internazionale dei diritti umani presso l’Università La Sapienza di Roma. Il suo blog L’arte di salvarsi è molto seguito e riconosciuto. Nel 2008 ha ricevuto il premio del Concorso Lingua Madre ed è autrice di romanzi e racconti. Il suo ultimo libro Fascismo tropicale. Il Brasile tra estrema destra e Covid 19 (Dissensi, 2020) è un saggio sul suo paese d’origine.

Dal tuo libro, la politica del presidente Bolsonaro e dei suoi sostenitori emerge come una vera e propria guerra del maschile bianco contro le donne, i neri, gli indios, i poveri, i diversi di ogni genere, e l’ambiente. Quali sono le risposte a questi attacchi?

Al momento è una guerra combattuta su canali extra-parlamentari, grazie all’articolazione di movimenti sociali e organi della società civile come Instituto Sou da Paz, Articulação dos Povos indígenas do Brasil o Movimento Negro, con un ampio utilizzo della rete attraverso cui denunciano lo smantellamento delle politiche sociali a colpi di decreti presidenziali. Gli alti tassi di femminicidio, i rapimenti e la sparizioni di donne e ragazze, la sconcertante impunità giudiziaria per questi crimini e le altissime percentuali di morti per aborti clandestini, sono un denominatore comune per tutta l’America Latina. In questo contesto, uno dei più ostili alle conquiste e ai diritti delle donne, si lotta per la propria sopravvivenza ancor più che per combattere il machismo più subdolo. In questi giorni circa 100 associazioni e collettivi femministi hanno lanciato il manifesto Mulheres na luta pela vita che chiede l’impeachment di Bolsonaro, colpevole della politica negazionista sul Covid, come anche di messaggi e di leggi improntate alla sopraffazione delle donne. Prima ancora, nel 2018, grazie all’attivismo in rete, il movimento femminista Ele não era riuscito a portare oltre 3 milioni di donne in piazza contro l’elezione di Bolsonaro.
L’impossibilità di manifestazioni in Brasile a causa della pandemia che ha contagiato milioni di persone uccidendone centinaia di migliaia, non ha impedito alle donne di mobilitarsi assieme ai movimenti sociali. Purtroppo i principali organi governativi deputati a dialogare con la società civile sono stati soppressi per decreto nei primi 100 giorni del governo Bolsonaro. Alcuni di questi organi erano nati negli anni Ottanta, durante il processo di apertura democratica del paese. Con Bolsonaro, il dialogo tra governo e società civile è stato azzerato, come accaduto durante il regime militare.

Cosa ha spinto molte persone – donne, neri, poveri, indios – a votare per un presidente che fa tutto tranne i loro interessi?

Subito dopo l’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016, l’estrema destra ha iniziato la sua campagna di demonizzazione dei movimenti sociali. Il primo a essere attaccato frontalmente fu il movimento femminista. Le donne del PSL, partito di destra con il quale Bolsonaro fu eletto alla presidenza, accusavano i movimenti femministi brasiliani di essere guidati da donne esibizioniste, frustrate e anticlericali, unite soltanto dall’odio per l’altro sesso. Se in trent’anni di vita politica Bolsonaro non aveva mai perso l’opportunità di sfoggiare la sua misoginia, durante la campagna elettorale poté contare sull’appoggio incondizionato delle donne del suo partito appartenenti a chiese evangeliche di matrice neopentecostale.
Al fine di procacciargli voti, dai pulpiti di queste chiese i pastori invitavano la popolazione a votare il candidato che meglio rappresentava i piani di Dio, cioè colui che avrebbe portato più “benessere economico” e “progresso”. L’attivismo degli evangelici neopentecostali è molto aggressivo. Secondo le stime dell’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistiche, il 40% della popolazione brasiliana si dichiara evangelica essendo, per la maggior parte, convinta della cosiddetta Teologia della Prosperità, una dottrina nordamericana portata in Brasile negli anni Settanta che, in buona sostanza, predica che Dio è ricco perché proprietario del Cielo e della Terra e che la prosperità economica, quindi, sarebbe gradita al Signore. Un altro pilastro di questa “teologia” è la possibilità di acquistare i miracoli. Più si dona economicamente ai pastori, più il fedele ottiene una promessa di prosperità da Dio. Grazie alle concessioni televisive e radiofoniche date dai governi sin dagli anni Novanta, la voce di questi predicatori è giunta ovunque, anche nelle aree più isolate dell’Amazzonia. L’indigeno viene indottrinato a ritenersi “povero” perché nulla possiede oltre alla foresta che non può sfruttare economicamente per legge, a differenza dei proprietari terrieri. Questo ha generato una spaccatura all’interno delle comunità indigene, una parte delle quali si dissocia dalle leadership tradizionali per sposare il discorso bolsonarista sulla necessità di sfruttare le ricchezze dell’Amazzonia anche a costo di devastarla completamente. Per quanto riguarda i neri poveri che hanno votato Bolsonaro, ritengo che si tratti di un retaggio del periodo coloniale. Se osserviamo la composizione del Parlamento brasiliano non si può non notare che i neri sono solo il 17% e le donne il 15%. Soltanto nel 2018, per la prima volta nella storia, una donna indigena, Joenia Wapichana, avvocata e attivista molto rispettata, è riuscita a varcare la soglia del Congresso Nazionale. Prima di lei abbiamo avuto un unico indigeno in Parlamento, eletto nel 1983, il capo Juruna. L’elettorato brasiliano è prevalentemente composto da cittadini che stentano a riconoscere nei loro simili i rappresentanti ideali, forse perché addestrati a ritenersi inferiori rispetto al maschio bianco che viene votato e rivotato a ogni elezione a prescindere dalle sue capacità o impegno nelle attività parlamentari. L’esempio lampante è proprio Bolsonaro, che nei suoi 26 anni come deputato ha cambiato partito ben sette volte, avuto solo due progetti di legge approvati e collezionato un numero così elevato di assenze da far invidia persino al nostrano Salvini.

Bolsonaro, che si oppone anche alla scienza, si è alleato perfino con il Covid 19 nella sua guerra contro il popolo.

Essendo un negazionista e contrario ai vaccini, Bolsonaro attacca le misure di distanziamento sociale e incita a non indossare mascherine perché “inutili”. Spesso chiama la popolazione ad armarsi contro “i dittatori sanitari” e a occupare gli ospedali per verificare se i reparti Covid sono veramente pieni. L’ondata di violenza contro medici, infermieri e operatori sanitari in Brasile è impressionante. Nell’ottobre dello scorso anno, India e Sudafrica hanno proposto all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) di sospendere i brevetti sui vaccini anti-Covid. Mentre 99 paesi in via di sviluppo hanno votato a favore di questa proposta, il Brasile si è dichiarato contrario. Il Presidente Bolsonaro, assieme al Ministro della Sanità, ha propagandato l’utilizzo di clorochina, vitamina D e di un vermifugo prodotto nel paese come unico valido strumento contro il Covid. Questo cocktail di medicinali è stato distribuito alla popolazione più povera sin dall’inizio della pandemia, provocando casi di epatite e attacchi di cuore. Le omissioni e le fake news divulgate dalla presidenza e dal Ministero della Sanità hanno indotto UniSaude, il principale sindacato del settore medico, con circa un milione di iscritti, a formulare una richiesta di indagine per genocidio contro Bolsonaro presso il Tribunale Penale Internazionale dell’Aia. È la quinta richiesta arrivata all’Aia da parte della società civile brasiliana.

Medici e scienziati hanno vita difficile…

I migliori ricercatori brasiliani vivono ormai nel terrore, alcuni sotto scorta dopo aver denunciato gli effetti della clorochina, che è stata distribuita in modo indiscriminato a donne incinte, bambini e anziani. Mentre gli ospedali pubblici e privati hanno nuovamente saturato i posti in terapia intensiva a causa della variante brasiliana, il governo continua a puntare su una presunta immunità di gregge. Le stime di ricercatori e biologi come Atila Iamarino (Università di San Paolo/Yale) affermano che di questo passo entro la fine dell’anno potrebbero esserci circa 900 mila morti per Covid 19 in Brasile. L’immunologo Anthony Fauci ha offerto il suo aiuto, si è detto disposto a collaborare al fine di evitare una catastrofe ancora maggiore, ma la sua accorata disponibilità è stata completamente ignorata dal governo. Il 6 marzo scorso, artisti, intellettuali e attivisti per i diritti civili hanno lanciato un manifesto dal titolo Lettera aperta all’umanità con cui invocano un aiuto internazionale e definiscono il Brasile “una camera a gas a cielo aperto”. Da un mese e mezzo si registrano 1.500 decessi al giorno e i contagi oltrepassano i 70 mila casi giornalieri. Il presidente prosegue imperterrito nel suo proposito di sacrificare centinaia di migliaia di vite in nome dell’economia. L’effetto che ottiene, però, è l’esatto contrario. Colossi come Ford e Sony hanno già abbandonato il paese.

Tu vivi in Italia da 17 anni. Esistono, secondo te, analogie e somiglianze tra la situazione italiana – politica, sociale, il modo di affrontare la pandemia – e quella del Brasile?

Sul modo come Italia e Brasile stanno affrontando la pandemia direi che ci sono differenze notevoli.
Nonostante il governo italiano sia agli antipodi, fa impressione costatare che parte dell’estrema destra, anche qui, ha sostenuto l’uso della clorochina e non si è mai dissociata da leadership negazioniste e contrarie all’uso delle mascherine. I movimenti di matrice neopentecostale, alcuni nati proprio in Brasile, cominciano a diffondersi anche in Italia. Raccolgono soprattutto quei migranti alle prese con i lavori più umili e si propongono come una famiglia accogliente, magari come quella che hanno lasciato alle spalle. Quasi senza accorgersene, i fedeli donano a queste formazioni “religiose” buona parte dei loro scarsi guadagni. Conoscere il loro funzionamento è essenziale perché prosperano maggiormente in periodi di crisi come questo, quando la speranza e la fiducia nella politica scarseggiano, inducendo le persone a credere alle promesse dei presunti “risolutori di problemi” che sono, in realtà, truffatori.
Un altro aspetto preoccupante è la crisi italiana dei partiti, identica a quella avvenuta in Brasile che portò il PT, il partito fondato da Lula, un tempo baluardo della sinistra, a scendere a patti indecorosi con la destra neoliberale nell’arco dei suoi 14 anni di governo, fino a ritrovarsi, oramai totalmente snaturato, ad allearsi persino con l’estrema destra pur di avere qualche possibilità di vincere nelle elezioni amministrative, come accaduto lo scorso anno.

 

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