C’era una che… | n. 2

di Emily Blake
Illustrazione di Liv

Queste storie raccontano di persone reali incontrate tra Rimini, Cattolica e Gabicce. Sono liberamente ispirate ai Repertori dei matti a cura di Paolo Nori.

 

Una era una mamma, era patologicamente curiosa e per questo sapeva sempre tutto di tutti, e se non lo sapeva se lo inventava. Qualcuno la chiamava Google. Sapeva chi sarebbero stati i nuovi compagni di classe della figlia prima ancora che lo sapesse la preside della scuola. Faceva l’amica con tutti ma non aveva una parola buona per nessuno, e se la incontri in giro ha anche il coraggio di farti la morale sulle amicizie false.

A volte, passeggiando per il centro, si incontra un ragazzo che così dal nulla, con tono preoccupato, chiede ai passanti cosa fanno, dove vanno, se sono sopravvissuti all’incidente, se si sono ripresi. Non è mai insistente, ma non si sa mai né di chi, né di cosa parla.

A Villa Fastiggi, un bambino arriva sempre a scuola 10 minuti in ritardo, perché la madre si vergogna che i vicini sentano le bestemmie del figlio quando prova a svegliarlo in orario.

Uno studente del liceo linguistico, quando mandava le email alla segreteria della scuola, lo faceva utilizzando lo pseudonimo “Jimmy il Grande”.

In ospedale, uno doveva andare a fare una visita al primo piano, ci ha messo 10 minuti a capire che si trovava al piano terra e una volta capito se n’è uscito con “e come ci arrivo al primo piano?”.

Un dottore, quando le infermiere sbagliano qualcosa e si giustificano con “pensavo…”, si mette a urlare “NON DEVI PENSARE”.

Lo chiamavano Zvan de Capan, era una one man band ambulante, aveva un grosso tamburo legato dietro alla schiena che suonava a ogni suo passo, aveva legate addosso campane, piatti, tamburelli, un’armonica e a ogni movimento corrispondeva un suono diverso.

Un vecchietto sull’ottantina sta fuori dalla farmacia comunale e guarda all’interno senza mai entrare, se gli chiedi qualcosa ti dice che è lui stesso un farmacista e sta solo guardando i suoi colleghi.

Una va sempre in giro a chiedere a tutti “un euro per il caffè?” (o per le sigarette) e di solito, per mezzogiorno, si è già bevuta sette caffè e fumato un pacchetto intero.

Uno era un geologo, insegnava matematica e scienze alle scuole medie, era conosciuto per i suoi metodi poco convenzionali: teneva le gambe stese sulla cattedra, faceva mangiare i compiti ai suoi studenti se facevano molti errori oppure glieli bruciava o ne faceva aeroplanini e li lanciava dalla finestra, a volte dandogli anche fuoco. Quando si guardavano documentari e venivano rappresentati scenari particolarmente disastrosi, faceva il segno delle corna e si assicurava che lo facessero anche i suoi studenti. Se questi disturbavano o si distraevano lanciava quaderni, penne, matite etc dalla finestra o se erano fortunati solo fuori dalla porta. Se beccava qualcuno a sbadigliare lo mandava fuori dalla porta per tutta l’ora o gli faceva fare varie attività per svegliarlo come flessioni, correre attorno alla scuola, saltare dalla sedia oppure faceva fare lezione a lui direttamente. Dava scappellotti a tutti per sentire la varietà di suoni che producevano e ipotizzava quanto fosse vuota la testa di ognuno, si metteva a suonare la chitarra, a leggere il giornale, a fare sudoku o a lanciare noci ai suoi studenti al posto di fare lezione, disegnava sui muri, sul pavimento e sulla porta (se ci fosse arrivato anche sul soffitto) e se qualcuno faceva un errore particolarmente grave, si buttava lui stesso dalla finestra.

A volte, sul bus 130 da Pesaro verso Cattolica, si incontra un ragazzo sulla quarantina, gli devi stringere la mano e dirgli il tuo nome e lui ti invita ad ascoltare il suo concerto a Cattolica. Poi continua a parlare da solo e ad ogni persona che incontra dice che sono amici.

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