Balle di guerra

di Fabrizio Tonello
Illustrazione di Doriano Solinas

 

“È malato. Malato grave. In fin di vita. È morto. È morto da un pezzo e quello che si vede in televisione è un sosia”. Benvenuti nella cartella clinica di Vladimir Putin secondo i nostri giornali, una cartella clinica che spiega anche perché il leader del Cremlino ha invaso l’Ucraina: “Vladimir Putin era in cura per un cancro alla tiroide e stava assumendo farmaci ormonali, provenienti dall’Occidente, che alterano l’umore: probabilmente per questa ragione ha deciso di attaccare l’Ucraina. L’uso di tali farmaci è diventato uno dei motivi del fallimento dell’attacco russo” (Messaggero, 23 gennaio 2023). 

La fonte di questa interessante teoria sarebbe un tale Joachim dell’intelligence danese. Come non averci pensato prima? Putin aveva una brutta giornata a causa dei farmaci e non ha mandato 200.000 uomini verso Kiev perché la Russia è nata lì mille anni fa, o perché voleva prevenire l’ingresso dell’Ucraina nella NATO e nell’Unione Europea, o perché nella sua megalomania vuole rifare l’Unione Sovietica: no, aveva preso le pillole verdi invece di quelle rosse e così è cominciata la guerra.

Poco dopo, nel febbraio 2023, tutti i giornali italiani si sono lanciati su un video dell’incontro di Putin con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, durante il quale “non riusciva a controllare le contrazioni dei piedi”. In altri video condivisi sui social media erano stati notati “tremori al labbro e al mento”. Inevitabile la diagnosi riportata dall’agenzia di stampa spagnola Marca: morbo di Parkinson. Conferme? Un anonimo insider dei servizi di sicurezza avrebbe avuto accesso a numerose e-mail trapelate del Cremlino: “Posso confermare che gli è stato diagnosticato il morbo di Parkinson allo stadio iniziale, ma sta già progredendo”.

C’è una legge bronzea nei conflitti: “Quando arriva la guerra la prima vittima è la verità”, come disse nel 1917 il senatore americano Hiram Johnson, che si opponeva all’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Johnson sapeva di cosa parlava: fin dai primi giorni di guerra il mondo era stato invaso da notizie sulle atrocità tedesche, tutte confezionate dalla propaganda inglese. Tra le migliori trovate del brigadiere generale John Charteris ci fu quella della “fabbrica dei cadaveri”, secondo cui i tedeschi usavano i corpi dei loro soldati caduti per produrre sapone e glicerina. Sul popolarissimo settimanale satirico Punch comparve una vignetta in cui il Kaiser mostrava gli impianti a una recluta dicendo che sarebbe stato utile alla Patria “sia da vivo che da morto”.

Ma torniamo all’Ucraina, dove Zelensky affermava che Putin “forse è morto” (19 gennaio 2023), notizia puntualmente riportata da tutti i giornali italiani solo per essere smentita quattro giorni dopo da Vadym Skibitskyi, numero 2 dell’intelligence militare ucraina, che brontolava: “Sfortunatamente, Putin è curato dai migliori medici occidentali, per questo è ancora vivo. Se fosse curato da medici russi tutto andrebbe più in fretta”. E chi erano questi mercenari, questi traditori dell’Occidente? Sfortunatamente non ci è stato detto.

Lasciamo per il momento da parte la cartella clinica di Putin e diamo un’occhiata alla molto celebrata controffensiva ucraina della primavera scorsa. Dopo qualche mese di sanguinosi combattimenti, il 7 settembre, il segretario generale della NATO Stoltenberg, dichiarava alla Commissione esteri del Parlamento europeo che gli ucraini erano vittoriosi e “avanzavano di cento metri al giorno”. Il volenteroso propagandista dimenticava di precisare che a quella velocità, e supponendo che tutto continuasse per il meglio, gli ucraini avrebbero impiegato circa sei anni a raggiungere Charkiv, il loro obiettivo. 

Le cose sono andate diversamente e oggi sappiamo, grazie a una dettagliata inchiesta del Washington Post del 4 dicembre, che la controffensiva (pianificata da ufficiali della NATO a Wiesbaden, in Germania) non aveva mai avuto più del 50% di probabilità di successo e che le previsioni sulle perdite ucraine erano di centomila morti. Faceva meglio il macellaio Cadorna nelle sue dodici battaglie dell’Isonzo.

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