Africa al mercato

di Giovanna Visco
Illustrazione di Urka

Un radicato e persistente conformismo culturale, discendente dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo, spesso restituisce un concetto monolitico dell’Africa, distinta al massimo in due macro regioni divise dal Sahara. L’incapacità di distinguere l’enorme varietà storica, culturale, geografica e climatica dei 54 Stati africani, solo apparentemente asfaltata da decenni di colonialismo, diviene, così, la premessa ideologica con cui il capitalismo attuale reitera lo sfruttamento del continente. Finanza e lavoro ne sono i filoni emergenti, innervati sullo sfruttamento delle risorse naturali, prelevate sistematicamente in gigantesche quantità ed esportate per lo più allo stato grezzo, portando altrove la ricchezza prodotta dalla loro lavorazione e lasciando immensi territori devastati, soprattutto da miniere, monocolture, deforestazione e caccia grossa1.

Il mercato finanziario

L’eclatante rialzo dei tassi di interessi, il più alto degli ultimi 40 anni, deciso unilateralmente dalle banche centrali occidentali, ha stretto la borsa del credito, ma ha gonfiato quella del debito, minando la stabilità finanziaria di molti Stati africani.
Da calcoli Unctad su dati FMI, nel 2022 la somma del debito pubblico, sia interno sia estero, dell’insieme degli Stati africani, ha raggiunto la cifra record di 1,8 trilioni di dollari (1.833 miliardi), aumentato in poco più di un decennio del +183%. Negli anni in cui i tassi di intesse sono stati vicini allo 0%, le esportazioni di materie prime a prezzi sostenuti in molti Stati africani crescevano, dando luogo a una congiuntura che per la prima volta, grazie ai bassi costi di rifinanziamento del debito, ha permesso di offrire alti rendimenti sull’acquisto delle obbligazioni sovrane africane, che così hanno potuto esordire sui mercati esteri del credito privato2.
Nel 2021 banche e fondi privati detenevano il 44% del debito africano, un record rispetto al resto del sud del mondo. Ma quando i tassi di interesse sono saliti, il plaudito modello neoliberista di “sviluppo” e di “integrazione globale” si è schiantato rovinosamente sull’aumento del costo del servizio sul debito, balzato improvvisamente fino a oltre il +130%, più del doppio della media dei paesi in via di sviluppo (64%). Fiumi di soldi hanno iniziato a inondare i mercati finanziari occidentali: nel 2022 incassavano dai paesi in via di sviluppo rimborsi per 556 miliardi di dollari, ossia 185 miliardi di dollari in più rispetto a quelli concessi in prestito, crollati del 23%. All’ombra di false promesse neoliberiste di un futuro migliore, la frammentazione dei creditori privati, le cui rigidità negoziali ora rendono difficili le ristrutturazioni del debito, ha reso incontrollabile lo squilibrio tra ampiezza economica e indebitamento, che a sua volta ha fatto precipitare la spesa pubblica verso la popolazione. A differenza dei prestiti agevolati, ottenuti dai canali tradizionali, bilaterali o multilaterali, il libero mercato non si accontenta solo di riforme lacrime e sangue.
L’Etiopia, secondo paese più popoloso dell’Africa, a dicembre scorso è fallita per il mancato pagamento di una cedola di 33 milioni di dollari, sul suo unico titolo di Stato internazionale del valore di 1 miliardo di dollari; lo Zambia a fine 2020 per 42,5 milioni di dollari e il Ghana, a fine 2022, è fallito per l’impennata del costo del suo debito pubblico, che superava il 77% del suo Pil. Al momento molti paesi africani, come Kenya, Ciad ed Egitto, stanno lottando per evitare il default. Hanno bisogno estremo di liquidità e valuta pregiata, in larga parte assicurate dalle rimesse spedite dagli emigrati alle famiglie. La fuga dei capitali finanziari esteri lascia alle spalle economie dissestate dalla concomitanza di più fattori, tra cui privatizzazione di risorse e servizi (incluso scuole e ospedali); politiche agricole compiacenti verso le multinazionali che hanno portato alla dipendenza dall’import agroalimentare; shock esogeni (credit crunch, pandemia, guerre, inflazione); crisi climatica. La povertà è aumentata e con essa la disponibilità a emigrare. Secondo il rapporto International Migration Outlook dell’OCSE, nel 2022 la migrazione internazionale verso i paesi ricchi ha raggiunto quota 6,1 milioni di persone, +26% rispetto al 2021. La manodopera straniera nel 2022 è aumentata del 26% in Francia, del 39% negli Stati Uniti, del 59% in Germania ed è raddoppiata nel Regno Unito.

Il mercato del lavoro

In Africa debito e migrazione crescono insieme, mentre la crisi della manodopera avanza nel Nord del mondo, a causa dell’invecchiamento e della bassa natalità demografiche. Secondo il ministro spagnolo José Luis Escrivá, nei prossimi 25 anni il mercato del lavoro dell’Unione Europea avrà bisogno di almeno di 50 milioni di stranieri. La globalizzazione del lavoro, necessaria alla sopravvivenza dei paesi ricchi, attualmente è organizzata con un sistema internazionale di reclutamento, basato su una moltitudine di agenzie private, che diffondono la domanda di lavoro estero e disbrigano gli iter di ammissione. Lucrano laute commissioni senza dare in cambio garanzie, visto i diversi casi in cui il lavoro è risultato inesistente o di estremo sfruttamento, pompando il sistema di drenaggio di milioni persone, regolari e irregolari,  che dal sud vanno verso il nord del mondo, che a sua volta cerca di essere sempre più attrattivo. La Germania ha approvato recentemente una legge che facilita la doppia cittadinanza agli extracomunitari qualificati, mentre Canada e Stati Uniti hanno da tempo politiche di incentivazione per gli immigrati. In Italia, uno dei paesi con più alto tasso di invecchiamento al mondo, l’Istat prevede entro il 2050 una popolazione in calo e per oltre un terzo over 65anni, che confermano i timori di forti carenze di manodopera in tutti i settori. Nel 2023 l’Italia ha firmato con la Tunisia un accordo triennale di semplificazione per l’ingresso di 4.000 tunisini all’anno e ha aumentato a 452.000 i visti per lavoro per il periodo 2023-2025, +150% rispetto al triennio precedente, ma circa il 50% in meno rispetto al fabbisogno stimato da imprese e sindacati. Più il Nord del mondo assorbe quote crescenti di immigrati, regolari e irregolari, più il futuro di molti paesi africani è a rischio, a partire da settori vitali come quello sanitario. Entro il 2030, l’OMS stima una carenza globale di 10 milioni di operatori sanitari, che colpirà più drammaticamente 55 paesi. Dal 2021 raccomanda, invano, ai paesi ricchi di non sottrarre personale sanitario ai paesi vulnerabili, in cui figura la Nigeria, che con oltre 200 milioni di abitanti, sta già sperimentando gli effetti perversi della fuga del suo personale verso Regno Unito, Canada e Stati Uniti. In un solo biennio (2016-2018) oltre 9.000 medici e infermieri hanno lasciato il paese, ma il depauperamento riguarda anche farmacisti, tecnici e biologi. Attualmente, il rapporto medico-popolazione nel paese è di 1 ogni 8.000 abitanti, molto distante dalla soglia indicata dall’OMS di 1 ogni 600, causando una crisi sanitaria che rende impossibile ricevere cure mediche e insopportabili le condizioni di lavoro del personale.

In Ghana, invece,  oltre 16.000 insegnanti, allettati con stipendi e agevolazioni, nel 2023 hanno fatto domanda di impiego al Dipartimento dell’Istruzione del Regno Unito e a metà anno 10.000 già risultavano accettati. C’è chi sta pensando a misure governative su quote e pagamento di rimesse per coprire i costi della formazione, ma la realtà è che il Ghana sta affrontando una crisi drammatica. Secondo produttore mondiale di cacao dopo la Costa d’Avorio, l’aumento dei tassi di interesse ha portato allo svuotamento delle casse del suo ente governativo Cocoa Board, alimentate con fondi ottenuti da un consorzio di banche internazionali per l’acquisto e la rivendita dei semi. Il Cocoa Board fissa il prezzo di acquisto  del cacao dagli agricoltori, compra i raccolti e li rivende alle multinazionali. È in perdita da sei anni, anche per la crisi climatica3, che riduce i raccolti portando, ironia della sorte, il cacao a prezzi record sui mercati internazionali. Ora ha bisogno di un prestito di 400 milioni di dollari per coprire il raccolto 2023/2024, e mentre i suoi insegnanti scappano dal paese, tanti bambini di tenerissima età lavorano come mietitori a basso costo nelle piantagioni di cacao intorno alla città di Tepa, su cui le multinazionali del cacao tengono gli occhi chiusi, come la svizzera Lindt, che ha affidato il controllo etico al suo stesso fornitore di materia prima Ecom, come ha denunciato una recente inchiesta della radio televisione svizzera SRF, riportata dalla testata Greenme.
Passando a Uganda, Repubblica Centrafricana, Gabon e Niger, dal 1° gennaio 2024 questi paesi, rimossi unilateralmente dal governo Biden, non beneficiano più dell’Agoa (African Growth and Opportunity Act), accordo commerciale statunitense che esenta da dazi più di 6.000 prodotti. Nel caso dell’Uganda, che perde un export di circa 10,5 milioni di dollari, la decisione è legata alla promulgazione di una legge contro l’omosessualità, definita regressiva e contraria ai diritti umani. Ancora una volta in nome dei diritti umani si prendono decisioni contro l’umanità. Ma siamo sicuri che tutto questo sia democrazia?

Note

1 Il fenomeno anziché scomparire è più che mai attivo. Ad esempio, da anni in Tanzania https://www.glistatigenerali.com/diritti-umani/ngorongoro-il-capitalismo-annienta-i-maasai/ i Maasai si vedono ridurre il loro territorio per fare spazio alla società emiratina OBC, specializzata in caccia grossa per miliardari, con danni irreversibili alla fauna selvatica e a interi villaggi Maasai.

2 Ruanda, Senegal e Zambia, ad esempio, promettevano rendimenti tra il 6 e 8% sui loro titoli, mentre quelli del nord del mondo oscillavano tra poco più dello 0 al 3%

3 Lo scorso autunno nella regione del Volta  abbondanti piogge hanno causato gravi  inondazioni, che hanno costretto alla fuga oltre 26mila persone e distrutto le colture. Come se non bastasse per proteggere le dighe idroelettriche di Aksombo e Kpong l’autorità fluviale del Volta ha sversato l’acqua in eccesso, sommergendo ulteriormente le aree circostanti.

 

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